Quanto vale il turismo nel mondo? Lo studio McKinsey
Un settore in continua trasformazione, con una crescente valenza economica per la sua trasversalità. Lato offerta, forti accelerazioni nella digitalizzazione impiegata ai fini commerciali; e sul fronte della domanda ricerca di esperienze sempre più personalizzate. È il turismo, bellezza! Analizzato dalla società di consulenza McKinsey, che gli assegna il ruolo di comparto trainante della economia mondiale, per il suo contributo pari al 10% del Pil mondiale.
Un ambito così dinamico che gli scenari cambiano di anno in anno e, di conseguenza, anche gli studi e le ricerche di mercato come questa, che analizza anche gli asset della mobilità e dell’ospitalità, che a loro volta devono adeguarsi a una domanda in costante evoluzione. Le previsioni di McKinsey, riportate dal Sole 24 Ore, tracciano un trend più che confortante: i viaggi nazionali cresceranno del 3% annuo, con un consuntivo di 19 miliardi di pernottamenti entro il 2030, mentre entro quella soglia temporale i viaggi internazionali potranno generare circa 9 miliardi di pernottamenti.
Ma è l’incidenza economica a dare evidenza del crescente peso specifico del settore: la spesa per i viaggi nel 2024 si attesterà sugli 8,6mila miliardi di dollari (pari a circa 7,8mila miliardi di euro), vale a dire poco meno del 10% del Pil globale.
Ma la parte più interessante dello studio è quella che cerca di soppesare il valore dei vari mercati, fornendo utili chiavi di lettura a operatori e investitori: infatti, viene evidenziato che, nonostante i viaggi internazionali siano da sempre considerati quelli ad alto valore aggiunto, è il turismo domestico ad avere un enorme peso sulle economie nazionali.
A rendere inconfutabile questa affermazione, bastano tre esempi-chiave: a partire dagli Stati Uniti dove, conti alla mano, il traffico turistico domestico sfiora i 1.000 miliardi di dollari (9.230 miliardi di euro) con una quota-mercato che tocca il 68% sul totale dei viaggi effettuati dagli statunitensi. Lo stesso andamento si riscontra in Cina, immenso mercato turistico ancora tutto da implementare dove ad oggi l’incidenza dei viaggi nazionali è del 74% con una spesa pari a 744 miliardi di dollari (684 miliardi di euro). Terzo esempio eclatante è rappresentato dall’Europa dove il 70% dei viaggiatori europei di fatto viaggia all’interno del vecchio continente, privilegiando soprattutto Spagna (18%), Italia (11%) e Francia (8%).
Lo studio McKinsey passa poi ad analizzare i principali mercati di provenienza, ovvero Stati Uniti, Germania, Uk, Unito, Cina e Francia che nel 2023 hanno generato quasi il 40% della spesa turistica totale nel mondo, consolidando il ruolo di big spender anche per l’indotto generato dalle trasferte turistiche.
Di sicuro conforto e di grande utilità per gli operatori della filiera turistica è anche sapere che i due target emergenti dei Millennial e Gen Z dedicano quasi il 30% del loro reddito ai viaggi, una quota ben superiore ai turiati over 50.
Accanto ai macro scenari ci sono poi le rilevazioni sui singoli mercati e per quanto riguarda l’Italia, i numeri sono del tutto soddisfacenti: lo scorso anno il nostro Paese ha fatto registrare 134 milioni di arrivi e 451 milioni di presenze, con un incremento del 3% rispetto ai dati del 2019 (ultimo anno pre-covid), e con un’incidenza sul Pil che si è attestata al 10% e che fa del turismo uno dei settori-chiave per la crescita economica della penisola. Ma gli analisti di McKinsey avvertono pure che per mantenere certi primati il nostro turismo necessita di una intelligente sinergia tra operatori privati e amministratori pubblici, per investire adeguatamente su mobilità, accessibilità e ricettività, ovvero i tre fattori/chiave senza i quali le potenzialità dell’Italia si potrebbero sgonfiare come un palloncino male annodato.
E riguardo, infine, ai due asset vincenti per la crescita del nostro settore, lo studio McKinsey indica lo sviluppo di adeguate offerte per lo slow travel e una serie di investimenti mirati sul luxury, con una cura anche per rimediare a eventuali fenomeni di overtourism: investire sulle destinazioni meno note che hanno comunque patrimoni artistico-culturali di grande valenza per gli stranieri.
Come dire che l’Italia lo può fare: rispetto a tante altre mete, può permettersi di diversificare, perché è talmente elevata la ricchezza del nostro patrimonio ambientale e culturale, che basta pianificare e promuovere con intelligenza.