Grande Carosello delle Dolomiti, il progetto del Veneto per le Olimpiadi 2026
Un parco sciistico da 1.300 chilometri di piste e circa 500 impianti di risalita tra vette e valli dichiarate patrimonio dell’Unesco. Sono i numeri del Grande Carosello delle Dolomiti, il progetto lanciato dalla Regione che, in vista delle olimpiadi invernali 2026, collegherà tre fra le ski aree più spettacolari delle Alpi: il Sellaronda, che unisce le valli ladine fra Alto Adige, Veneto e Trentino, le sette zone sciistiche di Cortina d’Ampezzo e il Giro della Grande Guerra, che sopra Alleghe gira attorno alle cime di Civetta, Pelmo e Tofana.
L’ambizioso piano ha l’obiettivo di trasformare cabinovie e funivie in veri e propri mezzi di trasporto ad alta quota per gli sciatori in inverno e per gli escursionisti in estate. Una sorta di panoramica delle Dolomiti senza dover scendere o togliersi gli sci. Ma, se il progetto fa gola all’industria turistica, allo stesso tempo spaventa gli ambientalisti. Infatti, il Cai Veneto ha espresso parere negativo sottolineando, attraverso le parole del presidente Renato Frigo, lo «sfruttamento delle risorse naturali sulle quali si fonda il turismo. Se la natura (ma anche la cultura e le tradizioni) vengono distrutte nel lungo periodo si arriva alla distruzione economica di un territorio».
Critiche a cui ha risposto l’assessore al turismo Federico Caner per spiegare le motivazioni che stanno alla base del progetto: «la Regione non vuole buttare via soldi e tanto meno distruggere un’ambiente e una natura che sono il presupposto stesso di quell’economia turistica che cerchiamo di ottimizzare. La logica che spinge a lavorare a un potenziamento dell’offerta non è quella di uno sviluppo incondizionato e senza limiti, ma quella di attuare degli interventi che siano innovativi e migliorativi anche dal punto di vista ambientale rispetto alla realtà di oggi. In questo senso, i nuovi impianti a fune favoriranno la diminuzione del traffico, la soppressione dei collegamenti tra i comprensori sciistici effettuati oggi con servizi navetta, che producono sia inquinamento atmosferico che acustico».
E conclude affermando che «se bisogna scegliere tra il lasciar morire con una lenta e certa agonia i piccoli paesi e le comunità delle terre alte e cercare soluzioni di sviluppo sostenibile, non ho dubbi: scelgo quest’ultima strada, non mi arrendo di fronte a quella che troppi considerano una perdita ineluttabile conseguente all’impoverimento e allo spopolamento. Con buon senso, prudenza e coraggio la nostra montagna può continuare a essere viva e vitale».