Draghi tra intenzioni e “chissà”.
E l’industria turistica aspetta
Forse sì, forse no, ma a dirla tutta: chissà. È di una schiettezza quasi feroce il premier Mario Draghi quando, in conferenza stampa con Franco Locatelli (presidente del Consiglio superiore di sanità), ammette senza fronzoli che date certe sulle riaperture – richieste da tutti e in primis dall’industria turistica – al momento non ce ne sono.
«Il ministro Garavaglia indica il 2 giugno. Vabbè, speriamo, ecco. Magari anche prima: chi lo sa», dichiara con il solito sottile sarcasmo, mettendo l’accento sull’intenzione, al di là delle tempistiche, di salvare la stagione estiva: «Non bisogna darla per abbandonata. Anche perché – afferma – gran parte dei siti turistici sono già prenotati, anche se solo da italiani. Gli stranieri non ci sono ancora. E questo colpisce soprattutto le città d’arte».
Per rimettere in moto l’incoming, dice, la carta da giocare è il certificato vaccinale: «Dobbiamo annunciare al mondo che siamo pronti ad accogliere chiunque ce l’abbia. E dobbiamo procedere velocemente per dotarcene anche noi», senza badare per ora alle questioni etiche. «Cominciamo a farlo – incalza il premier – dopo ci preoccuperemo di non discriminare chi non è vaccinato».
Per l’ex direttore della Bce, dunque, l’unica vera soluzione per fare ripartire il turismo è il passaporto sanitario. Mentre sullo sfondo avanza il battaglione delle isole impazienti di diventare Covid free. Un tema, questo, a cui però Draghi non accenna, così come dimentica il fronte outgoing: quella fetta di industria turistica che, seppur preziosa, subisce l’atavica colpa di “mandare gli italiani all’estero”. Un equivoco da cui, nonostante mesi di dissertazioni, non siamo riusciti a liberarci.
Ma Draghi spiazza la platea con un inatteso affondo: quello sulla meeting industry. «Ho chiesto a Garavaglia di preparare un piano per la riapertura delle fiere e degli eventi – annuncia – Ne abbiamo tanti tra maggio e novembre. Bisogna procedere svelti altrimenti perdiamo la stagione estiva», dice il primo ministro, secondo cui «il mondo migliore per rassicurare il Paese è guardare al futuro». Dove per futuro si intende, «non quello lontano, ma le prossime settimane».
Una palla che il sindaco di Firenze, Dario Nardella, coglie al balzo su Twitter: «Il piano di apertura di fiere ed eventi annunciato da Draghi – scrive – è un’ottima notizia. La richiesta di Firenze di non cancellare la prossima edizione di Pitti Uomo potrà essere ascoltata. Non possiamo permetterci di bruciare anche questa estate per l’economia e il turismo italiano».
L’intenzione di Draghi è procedere nella campagna vaccinale, continuando a dare priorità alle categorie fragile, con l’obiettivo di immunizzare entro aprile tutti gli over 80 e gran parte degli ultrasettantenni. Parametro fondamentale, questo, per superare l’emergenza: «La volontà del governo – assicura – è vedere, nelle prossime settimane, riaperture e non chiusure».
Riaperture che, in termini di movimenti turistici, difficilmente potranno arrivare prima del 30 aprile, termine ultimo dello stop ai movimenti tra regioni e della mini quarantena per chi rientra dall’Europa. Data dopo la quale potrebbe essere restituita al mercato una certa libertà.
Sempre entro fine mese, l’Italia consegnerà al Bruxelles il suo Pnnr – Piano nazionale di ripresa e resilienza, prontamente corretto dal nuovo governo. Quel recovery plan, di cui si è discusso giovedì alla conferenza unificata Stato-Regioni, per cui l’Italia avrà accesso a 209 miliardi di euro di fondi Next Generation Eu.
Un tesoro che l’Italia dovrà spartire per il rilancio post Covid, mentre un nuovo scostamento di bilancio (questa volta probabilmente da 50 miliardi) foraggerà il secondo decreto Sostegni, che però – annuncia Draghi – non conterrà alcuna proroga del blocco dei licenziamenti. Blocco fissato in linea generale al 30 giugno, ma che può valere fino al prossimo 31 ottobre per i destinatari di cassa integrazione in deroga, assegno ordinario e Cisoa con causale Covid.
Un passaggio, da parte di Draghi, anche su Alitalia e sul braccio di ferro con l’Europa. «La Francia con Air France è stata favorita rispetto a noi?», domanda un giornalista in conferenza stampa. «Se così fosse – risponde il premier – non potremmo accettare asimmetrie ingiustificate» o «discriminazioni arbitrarie», su cui il governo italiano prenderebbe posizione.
«Ora il punto centrale è creare una società che si chiamerà Ita, che avrà una discontinuità con il passato. Stanno trattando sul logo, se tenerlo o meno», ricorda Draghi, che si dice dispiaciuto all’idea di un cambio di nome. «Uno della mia età ha viaggiato quasi sempre con Alitalia, la considera di famiglia. Un po’ costosa, ma di famiglia», afferma il premier, tornando subito sul punto cruciale: mettere la nuova società nelle condizioni di partire, di non perdere la stagione estiva, ma soprattutto di «reggersi sulle sue ali, questa volta senza bisogno di sussidi».