Sì dell’Europa al Pnrr, ma il turismo soffre di autarchia
La location emblematica – gli studi di Cinecittà a Roma, oggetto del recovery plan – per un incontro nel segno della complicità: quello tra il premier Mario Draghi e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue. Un evento che celebra teatralmente il sì dell’Europa a “Italia Domani”, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che farà arrivare al Paese 24,9 miliardi di euro entro luglio e 191,5 miliardi entro il 2026. Ma non strappa alle aziende del turismo alcun sorriso di compiacimento.
«Una volta approvato dal Consiglio nelle prossime quattro settimane, saremo pronti a erogare i primi fondi. Bisognerà poi lavorare in modo duro e noi vi saremo accanto passo dopo passo. Un’Italia più forte rende l’Europa più forte», promette von der Leyen, strizzando l’occhio all’amico Mario. Di fatto, per la Commissione europea il Pnrr dell’Italia affronta «in modo efficace» le raccomandazioni Ue e «contribuisce a correggere gli squilibri, incluso l’alto debito e la debole produttività, in un contesto di alta disoccupazione e elevati crediti deteriorati».
Uno smilzo capitolo del Piano, come sappiamo, è dedicato al travel e in modo particolare agli alberghi, che però – per bocca di Maria Carmela Colaiacovo, vice presidente Confindustria Alberghi – colgono la palla al balzo per sottolineare come tali stanziamenti non siano sufficienti.
«L’approvazione del Pnrr italiano da parte dell’Europa – afferma – è motivo di speranza, ma per il settore alberghiero sono necessari interventi diretti e immediati. Dopo oltre 15 mesi di fermo, per molte strutture questa è come fosse una vera e propria fase di riapertura con tutti i relativi costi. Il ricorso al sistema bancario è indispensabile ora, ma nel rapporto con gli istituti di credito pesano anche le molte incertezze sugli aiuti».
Intanto, a Palazzo Madama, scendono in campo per il travel gli oppositori di Fratelli d’Italia. Uno tra tutti il senatore Nicola Calandrini, capogruppo del partito in Commissione Bilancio, che non citiamo per ragioni politiche, ma solo per aver denunciato l’abbandono da parte del governo delle aziende del comparto. «Hanno avuto ben poco ristoro e ben poche risorse», dice. E riguardo al magro bottino del Pnrr incalza: «Ci saremmo aspettati ben altro, visto che il turismo è stato il settore più colpito dalla pandemia, per le chiusure dei confini e le restrizioni, ma anche per provvedimenti illogici».
Di illogico c’è soprattutto l’impossibilità di riattivare, almeno tramite corridoi sicuri, gli scambi internazionali di medio e lungo raggio: vera linfa dell’industria turistica, al di là di ogni recovery plan. Per questo, tralasciando sporadiche riaperture, l’outgoing (così come l’incoming dei grandi numeri) guarda ormai all’autunno. E lo fa con la perplessità di chi sa che a capo del ministero del Turismo c’è un autorevole esponente leghista – l’ormai noto Massimo Garavaglia – che, per quanto Astoi&Co. si sgolino sui limiti del turismo di prossimità, arruola la Nazionale di calcio per invitare gli italiani a fare le vacanze in Italia. Tetra deriva autarchica di un Paese ancora blindato, miope e spaventato, dove l’europeismo non sembra escludere il suo contrario.