Astoi, il tempo è scaduto:
“Basta divieti di viaggio”

Astoi, il tempo è scaduto: <br>“Basta divieti di viaggio”
07 Settembre 16:56 2021 Stampa questo articolo

I corridoi per le mete esotiche non bastano. Ne è convinto anche Astoi Confindustria Viaggi che rinnova la richiesta al governo di eliminare il divieto di spostamento verso i Paesi dell’elenco E (mete extra Schengen), seguendo l’esempio di altri governi europei che si limitano, semmai, a diramare raccomandazioni di viaggio.

“I Paesi Ue, nella loro quasi totalità (tra questi Germania, Spagna, Francia, Portogallo, Polonia, Paesi Bassi, Austria), adottano criteri che consentono ai cittadini di viaggiare verso mete extra Ue/Schengen di interesse turistico”, afferma  l’associazione dei t.o., sottolineando come “le modalità adottate dagli altri Stati che, a differenza dell’Italia, non pongono divieti tout court, sono perfettamente in linea con la necessità di garantire gli spostamenti in sicurezza”. E dunque: green pass, vaccinazione di gran parte della popolazione e tampone negativo. 

Astoi ricorda anche che il fatturato generato dalle vendite di Italia/mete Ue equivale solo al 15% del giro d’affari generato dal turismo organizzato. Per questo motivo, se non si rimuove “un divieto che suscita anche fondati dubbi di legittimità costituzionale, assisteremo certamente al collasso di migliaia di imprese tra agenzie di viaggi e tour operator, con impatti devastanti sull’occupazione”.

Dall’inizio della pandemia il turismo organizzato ha perso l’85% del fatturato. Le mete extra Schengen sono chiuse per decreto da ben 17 mesi ma, come sappiamo, “gli italiani le raggiungono ugualmente violando le disposizioni e partendo senza alcun controllo sia da aeroporti italiani – attraverso prenotazioni fai da te – sia da aeroporti di altri Paesi europei”. Un esempio? Le Maldive che hanno visto circa 2mila arrivi italiani ad agosto. A fronte dei circa 10mila tedeschi.

“Lasciare inalterato l’attuale quadro normativo – conclude l’associazione guidata da Pier Ezhaya – da un lato comporta un danno economico insostenibile a carico di aziende italiane, che pagano le tasse in Italia e impiegano personale italiano, e dall’altro significa avvantaggiare i competitor europei e internazionali che possono operare sul mercato italiano; in altre parole, significa decretare la fine di un intero comparto”. 

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