Airbnb svela l’identikit del nomade digitale 2.0
Il classico stereotipo del nomade digitale? Ventenne, single, freelance della tecnologia al lavoro da qualche remota località asiatica. Da dimenticare secondo Airbnb, che parla dei nuovi nomadi digitali 2.0, per i quali il Parlamento ha appena disegnato un “visto” di soggiorno apposito, oggi cresciuti, in prevalenza esperti di marketing e comunicazione over 35, che si spostano con il partner e non disdegnano di soggiornare oltre tre mesi in Italia, meglio se in una delle regioni del sud.
Airbnb dà una sua risposta con i numeri: il programma per vivere un anno nella Casa a 1 euro a Sambuca di Sicilia ha raccolto in poche settimane più di 100mila candidature da tutto il mondo. Ed è quindi proprio grazie al Mezzogiorno che l’Italia torna in corsa nella partita del turismo post Covid e del lavoro da remoto.
A snocciolare ulteriori dati ci pensa il Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia, uno studio condotto dall’Associazione Italiana Nomadi Digitali e da Airbnb intervistando un campione di circa 2.000 lavoratori da remoto o in procinto di fare i bagagli.
Il 46% dei remote worker intervistati ha già fatto esperienze di nomadismo digitale, mentre il restante 54% dichiara di volerlo fare nel prossimo futuro. Se il fenomeno interessa maggiormente le donne, che rappresentano il 54% degli intervistati, l’età di riferimento è quella dai 25 ai 44 anni (67%). E a livello professionale? Il nuovo nomade è un dipendente o collaboratore (52%), impiegato principalmente nei settori del marketing e comunicazione (27%) e presenta in media un alto livello di istruzione: il 42% ha una laurea e il 31% un master o un dottorato. E questo tipo di esperienza non è più ad appannaggio dei single: chi la sceglie, infatti, preferisce la compagnia del proprio partner (44%) o della famiglia (23%).
Il Mezzogiorno e le isole sono destinazioni gradite complessivamente da ben tre intervistati su quattro (76%). Le attività che vorrebbero maggiormente sperimentare e che interessano di più i remote worker e i nomadi digitali sono: gli eventi culturali e quelli enogastronomici (60%), seguiti da attività a contatto con la natura (51%), esperienze originali e caratteristiche del territorio (40%) e da attività di socializzazione con la comunità locale (37%). Durata del soggiorno? Un’esperienza che per molti potrebbe andare da uno a tre mesi (42%), oppure da tre a sei (25%).
Giacomo Trovato, country manager di Airbnb Italia, spiega: «Con l’affermazione dello smart working e del lavoro ibrido sono sempre di più coloro che non hanno la necessità di recarsi in ufficio quotidianamente: per la prima volta, milioni di persone possono vivere ovunque, determinando così il più grande cambiamento nel mondo dei viaggi dall’introduzione dei voli commerciali».
«Attrarre remote worker e nomadi digitali nel nostro Paese rappresenta una grande opportunità per differenziare l’offerta turistica tradizionale e sviluppare progetti innovativi con un forte impatto sociale – commenta Alberto Mattei, presidente dell’Associazione Italiana Nomadi Digitali – Temi come il lavoro da remoto e il nomadismo digitale possono contribuire a ridurre il divario economico, sociale e territoriale in Italia».