Wttc, missione sostenibilità.
Intervista al ceo Donald

15 Dicembre 09:19 2022 Stampa questo articolo

Si è concluso da pochi giorni il Global Summit che il Wttc – World Travel and Tourism Council tiene ogni anno e per il quale è stata scelta, questa volta, l’Arabia Saudita. Insieme a Julia Simpson, ceo del Wttc, il chairman, Arnold Donald, ha aperto e chiuso la tre giorni di incontri, conferenze, seminari che si sono tenuti nelle sale del Ritz di Riyadh. Un personaggio di assoluto rilievo che fino a pochi mesi fa ricopriva la carica di ceo della Carnival Corporation. L’Agenzia di Viaggi Magazine lo ha contattato poco dopo la conclusione dell’evento saudita per capire meglio quali sono gli obiettivi e le strategie dell’organizzazione da lui guidata.

L’intervista – il cui ritornello è la spinta sul turismo sostenbile – è stata realizzata alla vigilia della firma, al Cop15 di Montréal, di un vero e proprio patto tra il Wttc, l’Unwto (braccio turistico dell’Onu) e la Sustainable Hospitality Alliance per “fermare e invertire la perdita di biodiversità nel settore entro il 2030”. Un accordo che rientra nell’ambito del Global Biodiversity Framework e a cui hanno già aderito quasi 150 organizzazioni, tra cui Gruppi alberghieri internazionali, tour operator, agenzie di viaggi, destinazioni ed enti.

La sostenibilità è un tema cruciale, ma c’è chi accusa i politici di fare solo “bla bla bla” a riguardo. Anche al Global Summit del Wttc sono state fatte solo chiacchiere?
«Non credo. Sono fermamente convinto che i progressi si possono vedere concretamente. Il nostro studio sulla sostenibilità, divulgato proprio al Summit, è stato importante per fissare un riferimento, un sistema di valutazione comune per tutto il mondo del turismo e dei viaggi, parlando del livello di emissione di gas serra che attualmente vengono generati, oltre alla valutazione degli altri fattori sociali. Innanzitutto, quello che riguarda l’occupazione. Quello che viene fuori da questo studio è che le emissioni prodotte direttamente o indirettamente dal mondo del travel è di circa l’8% del totale prodotto sul pianeta. Si tratta di una riduzione, rispetto alla stima precedente, superiore al 10%. Ma il numero non è in assoluto la cosa più importante. Dobbiamo piuttosto capire come questo si possa ridurre in futuro. E bisogna che si riduca».

Nella precedente edizione del Global Summit, a Manila, avete lanciato il manuale “Best practice for hotels”, che raccoglieva le indicazioni pratiche per ridurre l’inquinamento anche nelle piccole strutture ricettive. È passato quasi un anno. Sapete se sono stati raggiunti dei risultati pratici?
«Abbiamo avuto molti riscontri concreti. La cosa importante è che ciascuno si può porre un obiettivo da raggiungere nella sua proprietà per dare un contributo alla riduzione delle emissioni nocive. Quindi, sì, abbiamo dei risultati concreti. E li dovremo misurare, a mano a mano, per vedere se davvero si stanno raggiungendo gli obiettivi che ci siamo prefissati. Ma dobbiamo concentrarci su un punto: la gente sta iniziando a mettere in pratica tanti comportamenti che derivano dalle best practice definite in giro per il mondo. E più verranno adottate queste pratiche, più in fretta i problemi si ridurranno».

Alla fine di ogni Global Summit voi annunciate quale Paese ospiterà il successivo. Il prossimo sarà il Rwanda. Quali sono i criteri con i quali fate questa scelta? Quali obiettivi vi ponete?
«Andiamo in posti che favoriscano la collaborazione tra il settore privato e quello pubblico per realizzare dei viaggi più semplici, più interessanti e, al tempo stesso, più sostenibili. Cerchiamo località che siano una dimostrazione di questi principi, nel senso di una sostenibilità olistica, globale. Quindi la sostenibilità climatica insieme alla giustizia sociale e l’inclusione sociale. Lo scorso anno siamo stati a Manila perché l’Asia stava per riaprire le frontiere dopo il Covid. Ma siamo andati nelle Filippine anche perché era un esempio di progresso e di viaggi più accessibili, un Paese affascinante con tanti esempi da seguire in termini di cultura turistica e dell’ospitalità. Con un’attenzione particolare alla sostenibilità, soprattutto sociale. E con lo stesso spirito siamo venuti qui in Arabia Saudita».

Dove sono venuti giornalisti e politici da tutto il mondo. Dall’Italia, però, nessun politico. Forse non riescono a valutare l’importanza di questo appuntamento?
«No, penso che abbiamo avuto in passato la partecipazione dell’Italia, che comunque è un Paese coinvolto in queste iniziative che supportano il Wttc. Magari questa volta non ci sono delegati per varie ragioni. Impegni di altro genere, sovrapposizione di eventi, eccetera. Ma abbiamo sempre trovato nell’Italia un gran sostegno alle nostre iniziative».

Il Wttc è un’associazione che rappresenta molte imprese importanti e una vostra decisione può orientare i flussi turistici nel mondo. Siete in grado di decidere il successo di una destinazione turistica. In che modo gestite questo potere? Che impatto riuscite ad avere sulla politica e sull’economia? 
«Tutto ciò che facciamo si basa sulla collaborazione. Noi mettiamo insieme le best practice e le migliori idee che arrivano dal settore privato e dal pubblico. Dopodiché proviamo a confrontarci con le istituzioni per assicurarci che ci siano normative e procedure in grado di supportare dei viaggi senza intoppi, più piacevoli e più sostenibili. Questo è il metodo che utilizziamo. Ma noi siamo soci, siamo persone, siamo aziende, siamo ministri del Turismo e collaboriamo tutti insieme per riuscirci. Abbiamo l’obiettivo di armonizzare e migliorare le procedure per il rilascio dei visti turistici e le strutture fiscali; investire sulla formazione, che è molto importante per i giovani che vogliono entrare a far parte del mondo dei viaggi e turismo. E, naturalmente, parlare dell’argomento che ci sta più a cuore e di cui abbiamo parlato prima: la riduzione delle emissioni».

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Giampiero Moncada
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