Il tesoro nascosto delle ferrovie dismesse
Si è in un’epoca in cui il modello economico prescelto è quello circolare, dove pratiche come il riuso delle risorse si cerca di farle diventare abitudine. Una pratica che si applica anche alle linee ferroviarie non più utilizzate, soprattutto a causa della sempre più forte concorrenza del trasporto su gomma. Si è di fronte a un patrimonio da riciclare con intelligenza e che una volta dismesso può rivivere per altri usi, possibilmente in un’ottica sostenibile, a misura d’uomo.
Sono proprietarie di un esteso patrimonio immobiliare non più sfruttato – oltre 1.500 km di tracciati ferroviari e più di 400 stazioni – Ferrovie dello Stato Italiane e Rete Ferroviaria Italiana, che ribadiscono come l’innovazione possa trasformare edifici e percorsi abbandonati in iniziative di valorizzazione del territorio, che si tratti di un percorso verde, magari ciclabile, o di un centro di aggregazione giovanile.
Con questi spazi che, nel tempo, nonostante i cambiamenti racconteranno sempre la nostra storia. E rappresentano un’autentica opportunità per il nostro Paese: lo dimostrano anche mission e vision di Fondazione Fs, che tra le sue più apprezzate mosse annovera il progetto Binari Senza Tempo, con linee ferroviarie che attraversano gioielli d’arte e natura, considerati un vero e proprio museo dinamico.
A livello internazionale – così come viene raccontato nell’Atlante delle linee ferroviarie dismesse redatto da Fs e Rfi – ci si ispira a esempi come quello degli Stati Uniti, dove il servizio ferroviario dopo l’exploit dell’Ottocento non ha retto alla progressiva erosione di quote di mercato da parte del trasporto su strada e, nel corso del secolo scorso, degli oltre 430mila km di rotaie ne ha visti rimanere inutilizzati almeno 230mila.
Così, a partire dagli anni Sessanta, sono state realizzate le prime riconversioni dei sedimi in rail to trail nell’Illinois e nel Wisconsin. E attualmente le linee riconvertite a greenway sono circa 1.930 per un totale di 35.750 km. Questo grazie al lavoro messo in campo dall’associazione Rails-to-Trails Conservancy, che raccoglie al suo interno più di 100mila soci e sostenitori.
Un’esperienza da guardare con interesse. Basti pensare a cosa potrebbe accadere se in una regione come la Sicilia – dove risiede un terzo del patrimonio italiano ferroviario dismesso – le tratte venissero trasformate in piste ciclabili e le vecchie stazioni in strutture ricettive o punti di vendita di produzioni tipiche locali. Emergerebbero le eccellenze e si creerebbe più occupazione.
Tra gli esempi di successo in Italia, la prima green station di Potenza, che da ex scalo merci risalente ai primi del Novecento è diventato negozio di prodotti a chilometro zero, biologici, sfusi, non imballati e del commercio equo e solidale, ma anche luogo di incontro, formazione, ricerca e sviluppo per la diffusione della cultura ambientale e la condivisione del sapere.
Altra “stazione green”, la più recente, è quella inaugurata il 19 dicembre a Venezia, che prende il posto di quello che era l’alloggio per i dipendenti delle ferrovie di San Stino di Livenza. Oggi è un centro per il turismo sostenibile: al piano terra una stanza polifunzionale per incontri, attività culturali e di formazione. Presente anche una foresteria e una ciclofficina dove si possono custodire anche le bici. Con l’obiettivo di raccontare ciò che il territorio offre, in ambito storico, culturale e naturalistico.