AAA vendesi hotel italiani.
E c’è rischio speculazioni
L’onda lunga del Covid-19 investe l’ospitalità e colpisce il nervo scoperto del patrimonio immobiliare alberghiero. Di fatto, l’hôtellerie italiana è sotto attacco speculativo, soprattutto riguardo alle strutture ricettive a tre stelle da parte di imprenditori cinesi, russi e albanesi; mentre cresce l’attrazione dei fondi internazionali per gli hotel più prestigiosi: quelli a quattro e cinque stelle nelle grandi città d’arte.
A seguito della chiusura – causa pandemia – di oltre 580 strutture ricettive nel 2020 (fonte Facile.it), a inizio anno si sono infittite le voci di un mercato in preda alla compravendita sfrenata di alberghi, soprattutto a Roma, Milano, Venezia, Firenze e sulla Riviera Adriatica, un fenomeno alimentato dalle gravi difficoltà in cui versano diversi proprietari di albergo.
Eclatanti anche i casi nel Bresciano e in Liguria dove in pochi mesi – stando alle notizie della stampa locale – imprenditori cinesi hanno acquistato decine di strutture ricettive e ristoranti a prezzi stracciati, con deprezzamenti fino al 40%.
Il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, pur sgonfiando i rumors sulle svendite («Non mi risultano», dice), ammette il fatto che si stia assistendo a un vero «boom della domanda d’acquisto di strutture ricettive da parte di stranieri, mentre da tempo riceviamo proposte di grossi fondi internazionali molto attratti dalle strutture di prestigio nelle nostre città d’arte. Di conseguenza, diventano inevitabili spinte speculative, seppur l’offerta sia ancora bassa. Confidiamo nella resilienza di una categoria che ha fiducia in una ripresa in tempi brevi, auspicando un utilizzo mirato e ragionato delle risorse che il Recovery Plan, nella sua seconda versione, ha messo a disposizione del turismo italiano, riconoscendogli così quella spinta propulsiva per far ripartire l’intero Paese. Ma bisogna fare presto, perché il mercato immobiliare legato all’hôtellerie è in fibrillazione».
Gli fa eco il direttore di Assohotel, Corrado Luca Bianca, che sottolinea come «l’emergenza sanitaria, special modo nelle città d’arte, abbia messo in ginocchio il settore del turismo. E le strutture ricettive italiane siano tra le più colpite e vulnerabili, anche in considerazione degli elevati costi di gestione».
Riguardo al rischio speculazione, il direttore afferma: «La drammaticità di vedersi costretti a svendere l’attività, sia essa una struttura ricettiva, un ristorante o un bar, è inaccettabile, soprattutto perché ci si trova, inaspettatamente, in questa situazione non per proprie responsabilità, ma per fenomeni contingenti. Spero che il nuovo governo venga definito il prima possibile e mi auspico che sia audace, rispettoso del comparto del turismo italiano e che dia nuova liquidità a fondo perduto, per evitare che ulteriori imprenditori si trovino costretti a cedere l’attività frutto di anni di sacrifici».
Ma è nel segmento lusso (5 e 4 stelle) che l’Italia non arretra nelle valutazioni e continua a essere percepita come core business dagli investitori internazionali dell’hôtellerie. Non a caso il prezzo medio d’acquisto per camera – secondo un rilevamento della società di ricerche EY – vede primeggiare Venezia con una quotazione di 540mila euro per camera, seguita da Roma (248mila euro a camera), Firenze (200mila) e Milano (90mila).
Sempre EY, in un report anticipato dal Il Sole24 Ore, stima volumi di investimento a quota 1,5 miliardi di euro nel 2021, in crescita rispetto a quel miliardo che si è registrato nell’anno appena concluso.
È poi di pochi giorni fa la clamorosa operazione della famiglia Reuben che ha acquistato il Luna Baglioni di Venezia dalla famiglia Polito. Non una semplice cessione, ma un’operazione di più ampio spettro, che punta a diffondere l’ospitalità Baglioni nel mondo. Tra l’altro, proprio nel 2020 Venezia ha confermato il proprio appeal attirando 413 milioni di investimenti (39% del totale), seguita da Roma (26%), Firenze (11%) e Milano (7%).