Per gli affitti brevi arriva il Codice identificativo nazionale (Cin), per tracciare i proprietari che affittano case e combattere l’evasione. E la cedolare secca rimane al consueto 21% per la prima casa che ogni proprietario impiega negli affitti inferiori ai 30 giorni, mentre sale al 26% solamente “in caso di destinazione alla locazione breve di più di un appartamento per ciascun periodo d’imposta”. L’aumento si applicherà dal secondo al quarto immobile messo in affitto (perché oltre la quinta abitazione, in ogni caso, scatta l’obbligo di aprire la partita Iva). Tramontata dunque l’ipotesi che la nuova aliquota si applicasse a tutti gli immobili destinati ad affitto breve.
Questa è la doppia mossa con cui la maggioranza ha suggellato l’intesa sulla manovra economica, mettendo così fine al balletto politico delle ultime ore.
Il testo della legge di Bilancio, 109 articoli e 6 allegati e bollinato dalla Ragioneria dello Stato, è stato trasmesso lunedì sera in Parlamento dopo l’autorizzazione da parte del Quirinale.
L’introduzione del Cin arriverà con un emendamento al decreto legge Anticipi (Dl 145/2023 in discussione al Senato) collegato alla manovra. Il meccanismo sarà definito nelle prossime ore. Probabilmente sarà il ministero del Turismo a fornire il Codice identificativo nazionale, che andrà poi a sostituire quelli nelle regioni che già lo applicano, dopo la registrazione su una piattaforma telematica nazionale.
La norma è stata voluta principalmente da Forza Italia. Il codice, «farà emergere il sommerso» e «porterà anche più soldi nelle casse che andranno nel fondo per ridurre la pressione fiscale», assicura il vicepremier Antonio Tajani. Il gettito stimato, secondo le cifre circolate, è di circa un miliardo.
Soddisfatto anche il ministro del Turismo Daniela Santanchè, che aveva inserito il Cin nella bozza del ddl sugli affitti brevi, che tarda ancora a vedere la luce. «Mettiamo ordine in un settore mai toccato», dice, sottolineando che alzare l’aliquota «è una scelta di buon senso che rispetta la proprietà privata» e «non mette le mani in tasca degli italiani». «L’introduzione del codice identificativo nazionale – aggiunge – ci permetterà di contrastare il sommerso e l’abusivismo e di rispondere, al tempo stesso, ad una chiara esigenza delle stesse piattaforme online di avere regole certe nazionali. Un passo avanti per normalizzare un settore che era più simile ad un Far West».
L’aumento della cedolare, però, non soddisfa i proprietari. Per Confedilizia è “una scelta sbagliata” con cui “il governo ha deciso di accontentare gli albergatori”: si tradurrà in “qualche casa sfitta in più, si alimenterà il sommerso e i borghi delle nostre aree interne avranno qualche speranza in meno di tornare a vivere”.
Plaudono al codice i gestori di affitti, «unico modo per togliere l’abusivismo», dice l’associazione Aigab, che bocciano però l’aumento della cedolare: «complica le cose a chi fa le cose per bene» e «incentiva l’evasione». Il mercato degli affitti brevi, secondo Aigab, conta 640mila seconde case inutilizzate attualmente a reddito con affitti brevi, l’1,8% delle case esistenti in Italia; inoltre circa il 96% delle case online appartiene a proprietari singoli.
Pollice su per gli albergatori: un «passo deciso contro il Far West degli affitti brevi», dice l’Associazione Italiana Confindustria Alberghi; «ci auguriamo che l’iter parlamentare non peggiori il testo», aggiunge Federalberghi.