by Redazione | 25 Novembre 2024 12:14
Il Cin questo sconosciuto. Almeno per un proprietario su tre di una locazione breve – circa 230mila – come sottolinea il Sole 24 Ore, in base a un’indagine commissionata da Facile.it a mUp Research e Norstat. Ergo, il 44% non ha ancora chiesto il Codice identificativo Nazionale, su un campione di 18mila proprietari, e il 15,3% non ha alcuna intenzione di chiederlo. Punto e a capo.
Eppure dal 1° gennaio 2025 – come da scadenza del Mitur fissata a novembre e poi prorogata[1] – gli immobili destinati agli affitti brevi saranno obbligati a esporre il Cin. Inoltre, il 33% ha presentato domanda ma non lo ha ancora ricevuto: significa che, a ora, solo un proprietario su cinque è pronto alla nuova norma. Domanda: cosa non ha funzionato, in barba a un imponente battage pubblicitario?
Prendiamo la lente d’ingrandimento e analizziamo il capitolo Cin[2] da vicino e va detto che si nota una certa diffidenza: se infatti il 30% ha dichiarato di avere intenzione di registrarsi a breve, il 38% intende prima informarsi a riguardo e poi prenderà una decisione in merito a ciò che farà dell’attività. Addirittura il 9,3%, circa 30mila persone, chiuderà l’attività perché “sta diventando troppo complicata”, percentuale che sfiora il 14% tra i proprietari residenti al sud e nelle Isole. Non solo. Il 6% degli intervistati, 18mila, non ha proprio intenzione di richiedere il Cin, ma continuerà comunque a operare pur non rispettando la legge.
Come se non bastasse, Property Managers Italia boccia la proposta di Airbnb, che si è idealmente schierata al fianco dei sindaci italiani, dichiarandosi favorevole a una legge quadro per limitare gli affitti brevi[3] nei centri storici delle città d’arte.
«Come imprenditori del settore affitti turistici – osserva il presidente, Lorenzo Fagnoni – siamo e restiamo contrari a misure generalizzate e indiscriminate che penalizzino gli operatori. È evidente che questa mossa di Airbnb sia dettata da una strategia commerciale che cerca di prevenire normative più restrittive, come quelle già adottate in altri Paesi, ad esempio il Portogallo, dove le locazioni turistiche sono state quasi completamente vietate».
Fagnoni sviscera la questione: «Facciamo un’ipotesi assurda: mettiamo che in una città come Firenze da domani non esista più il mercato locazioni turistiche come lo conosciamo oggi. Gli appartamenti rimasti vuoti andrebbero forse ai fiorentini? No, più realisticamente finirebbero per rispondere alla domanda altissima di stranieri che cercano alloggi per soggiorni temporanei prolungati. Cambiare destinazione d’uso non modificherebbe né il profilo dei fruitori né il canone delle locazioni. Peraltro, secondo un recente studio dell’Irpet, l’incremento dell’offerta di locazioni turistiche influisce solo molto parzialmente sull’aumento dei prezzi degli affitti lunghi».
«Detto questo – ammette Fagnoni – non mi scandalizza il fatto che Airbnb cerchi di sedersi al tavolo delle trattative con chi propone limiti per provare a influenzare la definizione delle restrizioni, accettando anche compromessi pur di evitare interventi più drastici. Temo solo che non sia la strategia giusta».
Poi spedisce una cartolina al sindaco di Firenze, Sara Funaro[4]: «Bene l’introduzione di criteri unici per l’esposizione del Cin annunciata da Palazzo Vecchio, ora però lo diciamo con franchezza: ci lascino lavorare: basta con la guerra a noi imprenditori e a tanti fiorentini che affittano le loro seconde case. Serve un approccio equilibrato, che tuteli insieme residenti e imprenditori, senza impuntature ideologiche».
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