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Airbnb il rottamatore, ma non chiamateli Trips

Fa la voce grossa, Airbnb. E nel bel mezzo della battaglia sugli affitti brevi, lancia dall’Open di Los Angeles un annuncio dal dubbio valore semantico: “Welcome to the world of trips”, benvenuto nel mondo dei viaggi. E’ la scritta che campeggia gigantesca alle spalle di Brian Chesky, cofondatore della piattaforma e oggi superstar del travel, mentre presenta orgoglioso la sua ultima creatura: Airbnb Trips. Oltre alle case, d’ora in avanti si venderanno Esperienze, ovvero attività condivise con le comunità locali; ma anche Luoghi, intesi come guide di viaggio messe a punto dagli host stessi. E mica solo questo. Perché poi arriverranno i voli e i servizi, avverte, a completare un menù che sa più di cucina fusion, che di turismo organizzato.
Un proclama urbi et orbi, in mondovisione, che nel weekend ha occupato le pagine online di tutti i principali giornali, ma che sul fronte semantico (per l’appunto) lascia spazio a qualche perplessità. Vediamo perché.
Brian ha 35 anni, è californiano, e con il suo golfino stile Silicon Valley giura di rivoluzionare il mondo del travel. Di fatto, con il sistema di sharing economy che mette in rete le case dei privati, c’è riuscito alla grande. Scatenando un gran bailamme tra chi, albergatori in primis, viene da una tradizione di accoglienza e paga le tasse come legge impone.

 

Ora, con Trips, promette di andare oltre: gli utenti-viaggiatori non troveranno sulla piattaforma solo alloggi a basso costo, ma anche esperienze di viaggio “magiche”, così dice, messe in piedi dagli stessi proprietari delle case. E quindi: pacchetti fino a tre giorni in una delle città-pilota (in Italia per ora c’è solo Firenze) con proposte che spaziano dal surf all’astronomia, dalla caccia al tartufo a una giornata in compagnia di una geisha.
Per curiosità abbiamo scaricato l’app aggiornata e navigato nel nuovo menù di esperienze, dove – beh – di trips a nostro parere c’è ben poco. Ci sono attività, questo è vero, confenzionate con un occhio attento al marketing: micro video teaser, intro accattivanti, sessioni “cool” dall’Urban Gardener con Ron, che per 341 euro ti insegna a fare l’orto tra i grattacieli di Los Angeles, al pacchetto Zen Explorers con Nicki e Pam, che invita a camminare, riflettere e dare colpi di pagaia a San Francisco, “con due esploratori consapevoli” capaci di aiutarti a “riconnetterti con la natura”. Alla modica cifra di 292 euro a persona. Prezzi ben diversi da quelli a cui Airbnb ci aveva abituato con le sue case low cost.
L’obiettivo del guascone Brian è chiaro: distogliere l’attenzione dai contestatissimi affitti brevi e implementare la piattaforma restando fedele al modello sharing, con uno sberleffo ai professionisti del settore quando dice che “oggi le agenzie di viaggi promettono vacanze incredibili, ma poi alla fine passi gran parte del tempo in fila per vedere un’attrazione piena di turisti o visiti luoghi in cui le persone che vivono lì non andrebbero mai”. Fare la parte del rottamatore, insomma, che butta via il passato per costruire un mercato dei viaggi alternativo, più liberale, per certi versi anarchico.
L’innovazione è la benvenuta, per carità. Ma solo se accompagnata da onestà commerciale e semantica. Se prometti trips, che trips siano. Finora, quel che vediamo sono “esperienze in loco” che sicuramente potranno divertire, ma per come sono state concepite sembrano essere molto lontane dal professionismo dei tour operator e delle Olta stesse.

Un database di volenterosi cittadini disposti a lavorare con i turisti, qualora questi decidessero di sceglierli.

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