Alitalia, Fs in pole position con Bonomi
«Un Paese turistico come l’Italia non può restare senza un vettore nazionale». E ancora: «Il nostro Paese non può non avere una compagnia di bandiera». Per finire con un inequivocabile «Alitalia agli italiani». Di Maio? Salvini? Il nuovo titolare della delega al Turismo, Gianmarco Centinaio? Sono passati dieci anni da quando Silvio Berlusconi faceva appello ai capitani coraggiosi per evitare che Alitalia finisse nelle mani di Air France, ma intorno al nome dell’ex compagnia di bandiera i toni del nuovo governo giallo verde non sono cambiati più di tanto. «Riusciremo a salvarla, mantenendo il 51% in Italia», ha detto in queste ore Danilo Toninelli, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, facendo intendere però che anche il resto del capitale potrebbe essere ancora denaro di provenienza pubblica.
Tutto questo, proprio mentre un suo sottosegretario, Armando Siri, ha risposto così a una domanda del Corriere della Sera riguardo ai potenziali acquirenti del vettore: «Tutte le offerte sono interessanti, il governo sta lavorando per trovare un partner industriale in grado di garantire un progetto stabile ed economicamente sostenibile». Per incominciare a farlo, il primo appuntamento in calendario sarà quello del prossimo 27 luglio, quando ci sarà un nuovo incontro tra governo e commissari «per tratteggiare la corretta strategia».
Insomma, se dieci anni fa si puntava su una cordata di investitori italiani – i cosiddetti capitani coraggiosi – chiamati a preservare l’italianità della compagnia, oggi la scelta ha tutta l’aria di non essere molto differente. Certo, un compagno di strada di provenienza aviation bisognerà trovarlo – «chi rilancerà la compagnia dovrà essere qualcuno che si occuperà di far volare le persone e basta», ha ribadito per l’ennesima volta Toninelli – ma ancora più importante sarà individuare chi finanzierà l’ennesimo tentativo di salvataggio di Alitalia.
«I capitani coraggiosi vorrebbero che lo Stato entrasse nel capitale sociale mediante la Cassa Depositi e Prestiti oppure le Ferrovie», scriveva Milena Gabanelli sul Corriere della Sera il 10 ottobre 2013, quando la compagnia si trovava nuovamente sull’orlo del baratro nonostante l’intervento di Colonnino e soci. «Alitalia è ora un’azienda privata e va trattata come tutte le altre aziende private», continuava la conduttrice nel suo appello, anticipando senza volerlo quello che sembra essere uno degli immancabili leit motiv nella storia dell’ex compagnia di bandiera: la nazionalizzazione.
E se il ruolo di Cdp è ancora tutto da stabilire – il suo statuto non le consente di investire in aziende in perdita, oltre al fatto che il suo intervento dovrebbe passare dall’emanazione di un nuovo bando di vendita – chi potrebbe davvero fare da testa di ponte dell’intera operazione sarebbero le Ferrovie dello Stato. A ipotizzarlo sono già stati in molti negli scorsi mesi, ma adesso il probabile arrivo come amministratore delegato di Fs da parte di un manager del trasporto aereo come Giuseppe Bonomi (ex presidente di Sea, di Alitalia nei primi anni Duemila e poi anche con Eurofly, leghista della prima ora) potrebbe davvero sbloccare la situazione anche per la compagnia aerea.
Il tutto in attesa che si completi anche il rinnovo dei vertici di cassa Depositi e Prestiti, dove da settimane sono in corso le trattative della maggioranza per nominare il nuovo management. L’appuntamento, forse anche per il futuro di Alitalia, è per la prossima assemblea del 24 luglio.