Quando manca ormai un mese all’ultimo volo Alitalia (15 ottobre, ndr) e al decollo di Ita sono ancora sul tappeto due questioni assai spinose al vaglio delle due società. In casa Az c’è fibrillazione per i 7mila esuberi, mentre nella newco non si è ancora sciolto il nodo dei contratti dal momento che i sindacati hanno contestato l’impostazione di uno schema che esula dal contratto collettivo nazionale con tagli retributivi annunciati di quasi il 40%.
Su queste due spine nel fianco del governo Draghi, il vice ministro dell’Economia Laura Castelli ha preso tempo impegnandosi a tenere in piedi trattative difficilissime con sindacati e vertici della newco guidata da Fabio Lazzerini. Questa, però, dovrebbe essere la settimana decisiva per il futuro di circa 11mila dipendenti della ex compagnia di bandiera.
Ma i margini sono ridottissimi perché Ita partirà con 2.800 dipendenti, e di conseguenza con un ridotto riassorbimento del personale proveniente da Alitalia, e non sembra intenzionata a indietreggiare sul versante degli stipendi per non appesantire il decollo con la zavorra di costi del personale antieconomici rispetto al piano di sviluppo che il management si è prefisso da qui al 2025.
Vero è che, come hanno ribadito i sindacati Filt-Cigil, Fit-Cisl, UilTrasporti e Ugl la Commissione Ue – la quale tiene accesi i riflettori sull’intera vicenda – non ha mai contestato lo schema del contratto collettivo nazionale e quindi se una azienda come Ita, che risulta pubblica al 100%, disconoscesse questi parametri creerebbe un pericoloso precedente.
Al di là di questo dettaglio, poi, i vertici Ita hanno ribadito che i parametri alla base del piano industriale con 1,35 miliardi di euro versati in tre tranche dal Mef a Italia Trasporto Aereo, non possono e non devono cambiare, per cui difficilmente i tavoli convocati dal dal ministero dell’Economia per i prossimi giorni, potranno portare a clamorosi esiti di segno contrario.