Alpitour, gol di Ezhaya: «Tour operating a 830 milioni»
Obiettivo di budget raggiunto e ampiamente superato per la divisione tour operating del Gruppo Alpitour, che ha chiuso l’anno finanziario 2022 con un fatturato di 830 milioni di euro e guarda con ottimismo al futuro. In questa intervista a margine dell’annuncio del rebranding del Gruppo, Pier Ezhaya, direttore generale tour operating Alpitour World, traccia un bilancio dell’ultima stagione e anticipa novità, sfide e strategie per il 2023.
Come si è chiuso il bilancio 2022 per la divisione tour operating?
«Abbiamo fatturato circa 830 milioni di euro nel 2022 e per il 2023 l’obiettivo è tornare ai livelli del 2019, abbiamo già approvato il budget di 1 miliardo 350 milioni. Siamo quindi molto soddisfatti di come è andato l’anno, ma non dimentichiamo che l’inverno è stato molto fiaccato da tutte le politiche sul Covid e dalle restrizioni che erano ancora in vigore».
Quali destinazioni hanno generato i risultati migliori quest’anno?
«Per l’inverno, le destinazioni che sono andate molto bene sono state, ovviamente, quelle dove c’erano i corridoi, ma anche in estate abbiamo visto che Maldive ed Egitto hanno tenuto molto bene, poi la Repubblica Dominicana, che ha preso un po’ il ruolo di star nei Caraibi, superando Messico e Cuba. Dall’estate abbiamo visto una bella ripresa dell’East Africa, con Kenya, Zanzibar e Madagascar».
Quali le prospettive per il 2023, in termini di destinazioni?
«Per l’anno prossimo ci aspettiamo un portafoglio un po’ più equilibrato, quindi non più mete aiutate dai corridoi, ma pienamente operative, con una buona ripresa sul Messico e, già dall’inverno, su Mauritius, dove abbiamo per la prima volta un volo Neos dal 20 dicembre. Sul Mediterraneo prevediamo uno scivolamento verso il Nord Africa, con un Egitto ancora molto tonico, perché è una meta molto attrattiva per via dei prezzi e dei servizi che offre, e una Tunisia in ripresa. Poi crediamo che l’Italia abbia la sua magnitudo e sarà un’altra meta sicuramente molto gettonata».
E sul lungo raggio?
«Gli Stati Uniti stanno dando prova di buona salute nonostante il dollaro alto. Ci aspettiamo finalmente una ripresa sul Giappone, che è stato uno dei paesi più colpiti dal Covid e dalle politiche del governo giapponese. Nel sud-est asiatico non riproporremo il volo diretto perché oggi non ci sono le condizioni per farlo, ma vediamo una ripresa della Thailandia e dell’Indonesia, che è andata già molto bene in estate. La Cina è ancora chiusa e l’Indocina, quindi Vietnam, Cambogia, Laos, che era una meta molto interessante per noi, sta facendo un po’ fatica a ripartire».
Ci sono novità in vista per quanto riguarda nuove mete?
«Il Covid ha generato una sorta di reset e quindi si è ripartiti dalle mete più conosciute. Oggi riscontriamo che le destinazioni che avevamo lanciato negli ultimi dieci anni e che prima del Covid erano diventate molto popolari, come l’Oman o l’isola di Naxos, scontano un po’ la fase del riavvio. La Grecia, per esempio, è ripartita proprio da Creta, Rodi e Mykonos. Detto questo, per noi una meta “nuova” è Mauritius perché operata per la prima volta con un volo Neos. Poi stiamo studiando alcune destinazioni: ai primi di dicembre un nostro team andrà a vedere la Guinea Equatoriale, che può essere una meta interessante per la parte naturalistica. Ovviamente abbiamo iniziato a programmare l’Arabia Saudita (dove è in corso il Wttc Global Summit con la presenza del presidente di Alpitour, Gabriele Burgio, ndr), mentre in Qatar abbiamo individuato una zona di Doha molto bella, quasi una scoperta, con un mare stupendo perfetto per una vacanza balneare».
Come sta reagendo il mercato in questa fase, tra inflazione e crisi energetica?
«Sicuramente riscontriamo una forte voglia di tornare a viaggiare, nonostante gli italiani debbano fare i conti con i prezzi e le difficoltà economiche. Non solo con l’aumento del valore dei viaggi, ma anche con il fatto che è aumentato tutto e quindi gli spazi per fare una vacanza si schiacciano un po’. Le crisi tendono a polarizzare il mercato, quindi assistiamo a un modellamento della domanda: c’è una parte alta che spende molto più di prima e una parte media che è scivolata verso vacanze più accessibili, scegliendo magari alberghi di categoria e prezzi inferiori, il corto o medio raggio rispetto al lungo raggio, oppure riducendo la durata della vacanza. Per contro riscontriamo anche vacanze con valore aggiunto altissimo, pacchetti da 20-30mila euro, con aerei privati e servizi molto esclusivi, un segmento piccolo in termini numerici, ma molto sostenuto da parte dei margini e dei ricavi, che presidiamo con Ego e Turisanda».
Come tour operator come state intervenendo rispetto all’aumento dei prezzi?
«Noi non possiamo assorbire i costi di inflazione che ci sono piombati addosso perché sono molto pesanti. Stiamo però cercando di sterilizzarli attraverso contrattazioni molto dure che fa il nostro team di prodotto, facendo delle operazioni finanziarie sul carburante per cercare di stabilizzarlo, comprando in anticipo per avere delle opportunità e non subire le ondate di aumenti che purtroppo questa guerra sta generando. Però onestamente non possiamo pensare di non ribaltarlo al mercato».
Su quali percentuali si aggirano gli aumenti sul costo finale dei pacchetti, riuscite a preservare le marginalità?
«Dipende molto dalle destinazioni, però direi non meno del 9-10%, arrivando anche al 18-20% in alcuni casi. Perché non riguarda solo il carburante aereo, ma anche il dollaro, che fino a qualche settimana fa era sotto la parità. E poi gli alberghi che hanno costi di energia e di gestione più alti. Stiamo cercando di non portare al mercato il guadagno sulle marginalità, però dobbiamo preservare i margini che facevamo sulle destinazioni in valore assoluto prima degli aumenti. Ovviamente, questo richiede una politica di revenue molto dinamica, molto attenta, però fortunatamente su questo abbiamo un team che lavora molto velocemente e con agilità».
Cosa rappresenta per la divisione tour operating il nuovo corso di Alpitour World?
«Noi siamo una parte attiva di tutto questo. Spesso assistiamo a polemiche assurde tra turismo in Italia e turismo verso l’estero. In realtà l’outgoing è un fantastico ponte levatoio che si abbassa per unire popoli, culture, persone. Io addirittura agli Stati Generali l’ho definito “uno stabilizzatore di pace” perché aiuta a capire come funzionano altri popoli, altri Paesi, altre culture. Quindi su questo giochiamo un ruolo fantastico, poi su alcune destinazioni abbiamo proprio svolto un’attività sociale. Per esempio in Madagascar, dove per due anni abbiamo tenuto aperto un albergo con 440 dipendenti, che hanno così potuto mantenere le loro famiglie. Non lo facciamo per beneficenza, ma perché quando programmi l’estero e hai così tanto da un paese, devi entrare in una logica di restituzione al territorio che aiuti a sviluppare l’economia locale. E questo penso sia una cosa bella del turismo».