Non sventola l’ebitda, né lustra i ricavi. E sebbene i numeri lo rallegrino – 1,6 miliardi di fatturato, con l’obiettivo di sfondare il tetto dei 2 – il presidente e ceo di Alpitour World, Gabriele Burgio, leva in questa intervista di fine anno un vessillo ben diverso: la «squadra pazzesca», parole sue, che traina i risultati del primo Gruppo turistico italiano. Oltre 4mila dipendenti che remano compatti, grazie anche a quel work life balance a cui oggi Burgio, uomo di finanza e azionista Alpi, sembra tenere più di ogni cosa. Nonostante, nella sua vita, i paletti tra casa e lavoro siano inesorabilmente saltati. «Colpa di WhatsApp e dei messaggi a tutte le ore», ammette, mostrando anche a noi, per un istante, quel lato umano a cui il moderno capitano d’impresa attinge a piene mani.
L’anno solare sta per chiudersi. Mi dica un rimpianto e un motivo – uno su tutti – di soddisfazione.
«A essere onesto, non ho grandi rimpianti. Abbiamo gestito bene una situazione resa molto complicata da fattori esterni imprevedibili: la coda del Covid, il caro fuel, l’inflazione, il dollaro. Ogni scelta è stata meditata. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. La soddisfazione maggiore? Senza dubbio le persone, l’integrità del team. Nell’anno abbiamo avuto tre importanti momenti d’incontro legati agli eventi per i 75 anni di Alpitour, oltre all’inaugurazione della nuova sede di Pesaro. Ebbene, in queste occasioni di aggregazione che mancavano da anni, ho visto entusiasmo e partecipazione. Ho visto una squadra pazzesca, che è la nostra vera forza».
Riportare in ufficio persone ormai abituate al telelavoro è stata una delle sfide di quest’anno per le aziende.
«La guerra tra lavoro in sede e smart working è dal mio punto di vista insensata. La migliore risposta è offrire a dipendenti e collaboratori un posto simpatico dove stare. Ce la stiamo mettendo tutto e un riconoscimento è già arrivato: la classifica dei World’s Best Employers di Forbes e Statista ci vede al 278° posto tra le migliori aziende dove lavorare. Siamo davvero in alto in un ranking che contempla 800 imprese del mondo, di cui solo 22 italiane. Crediamo in una società di servizi, da cui scaturiscono idee e creatività. Crediamo nella forza “non organizzata” delle riunione da caffè».
Siete reduci da un importante rebranding: il buon vecchio gabbiano ha lasciato il posto all’infinito. È un’operazione che si accompagna a degli obiettivi?
«Presentarci al mercato in modo più semplice e comprensibile. La linea è coerente con la Trevolution che ha suddiviso in tre i filoni del tour operating con i brand capofila Turisanda, edenviaggi e Alpitour. L’intenzione è comunicare, anche attraverso la pubblicità, in modo più chiaro».
A proposito di t.o., avete in pancia nuove operazioni o acquisizioni per il prossimo anno?
«No, a livello di brand siamo coperti. Abbiamo gli strumenti giusti per presidiare il mercato e, a parte la nostra startup Utravel, i marchi in pancia hanno una lunga storia e sono già ampiamente avviati. Proseguiremo sulla strada già tracciata».
Il nuovo sito Alpitourworld al momento è solo una vetrina. È previsto un passaggio anche di questa piattaforma all’ecommerce?
«Per ora no. Non abbiamo in cantiere modifiche a breve termine. Resta la consueta struttura di commercializzazione, che vogliamo continuare a migliorare anche sul fronte ecommerce».
Vendita diretta versus intermediazione. Si aspetta di più dalle agenzie di viaggi?
«Sono due canali complementari e sono contento degli equilibri attuali. Più che altro, ci siamo imbattuti in alcune problematiche legate al cambio dei sistemi, che però ora abbiamo ampiamente risolto. L’intenzione è migliorare ancora la velocità di risposta e coltivare la relazione con le agenzie di viaggi».
È evidente, anche nel nuovo contratto, come Alpitour marchi strette le agenzie, mappando i punti vendita e addirittura i consulenti con cui lavora. Qual è, in questo scenario, il ruolo del network di proprietà Welcome Travel? Ha ancora senso averlo?
«Gli agenti della rete sono i nostri ambasciatori. A chi sceglie questa strada cerchiamo di stare il più vicino possibile. Non è razzismo commerciale, ma è un sistema che genera valore per entrambe le parti».
La pandemia ha fatto morti e feriti nel trasporto aereo. Ma già di per sé tenere in piedi un vettore è un grosso rischio. Neos sembra una mosca bianca. Qual è il segreto per rendere profittevole e serena una compagnia aerea in un contesto così instabile?
«Di base c’è un mix di rischi commerciali da gestire. Neos, prima del Covid, era una compagnia al servizio dei t.o., che non operava su frequenze giornaliere. In tempo di restrizioni ci siamo inventati altri due business: il trasporto di merci dalla Cina (500 voli), ma anche da Venezuela e Spagna, capitalizzando le buone relazioni con le varie autorità locali; e poi abbiamo lanciato i primi voli di linea su New York. Ci ha salvato la flessibilità, il fatto di avere dimensioni giuste e la capacità di reinventarci in un momento di crisi. Ora siamo proiettati su una strategia green in cui crediamo molto e abbiamo già investito in due aeromobili tra i più economici in termini di fuel. Certo, il caro carburante ci ha comunque penalizzato. Ma l’ambiente almeno ne ha guadagnato».
Fronte alberghi, ha già annunciato nuovi opening VRetreats per il 2023.
«Sì, ci piacerebbe arrivare a 10 strutture sotto il brand uplevel di Voihotels. Ma non siamo in un supermarket e vanno affrontare due diligence. Diciamo che l’intenzione c’è e il modello di business adottato finora funziona».
Anche alla luce di questi investimenti, la quotazione in Borsa per Alpitour si avvicina?
«Non ne abbiamo parlato. La società deve prima digerire i danni da Covid e curare le cicatrici che ha lasciato. In primis l’indebitamento: penso al prestito ottenuto da Sace, che va reso. Però, per fortuna, la congiuntura globale è più favorevole: si può dire che siamo passati dall’allarme rosso a quello giallo. Nonostante le batoste subite dal settore, siamo in una fase di grande dinamismo: è tutto pieno, spesso è anche difficile trovare posti disponibili».
Ci siamo incontrati al Global Summit Wttc di Riyadh, dov’era uno dei pochissimi italiani presenti. Guardando anche agli altri Paesi, cosa occorre all’Italia per essere più competitiva nel turismo?
«Al di là delle lamentele, che sono sempre le solite, voglio dire una cosa positiva: quando vai all’estero la potenza del brand Italia è sorprendente. Siamo senza dubbio avvantaggiati e, anche sul fronte delle infrastrutture, abbiamo fatto davvero passi da giganti. Penso agli aeroporti come Malpensa, Fiumicino, ma anche Milano Linate, che in fatto di standard ormai non sono secondi a nessuno. O a molte strutture alberghiere, davvero invidiabili. Certo, in alcune aree d’Italia servirebbe una maggiore pianificazione: al sud e in Sicilia, ad esempio. Basterebbe prendere esempio da realtà come l’Alto Adige e la Puglia».
Ha già avuto modo di incontrare il ministro del Turismo Santanchè? Che idea si è fatto?
«No, non l’ho ancora incontrata, ma – come con il suo predecessore Massimo Garavaglia – sono a disposizione. Intanto, mi fa piacere che ci sia un ministro dedicato al settore: è un segnale di sensibilità nei confronti del turismo da parte delle istituzioni».
Cosa si aspetta Alpitour dal nuovo governo?
«Ascolto, prima di tutto. E una predisposizione a migliorare tutto il possibile, favorendo la creazione di posti di lavoro. In Italia non abbiamo il petrolio e bisogna scommettere sul turismo, favorendo il business nel senso americano del termine».
Che augurio fa Gabriele Burgio al settore per il nuovo anno?
«Che il mondo ci consenta di respirare, liberi dai problemi che ci hanno afflitto negli ultimi due anni».
Come trascorrerà le feste, non mi dica lavorando?
«Che dire, per colpa di WhatsApp non esiste più la piena vacanza. Con messaggi a tutte le ore, si lavora anche oltre le 24h. Detto ciò, starò con la mia famiglia. Abbiamo così poco tempo per vederci».