by Roberta Rianna | 5 Luglio 2022 7:00
Due anni lunghissimi, estenuanti. Eppure il tour operating ha tenuto botta. Il sistema, forte degli aiuti “strappati” ai governi, ha funzionato: in pochi sono spariti dal mercato e chi già boccheggiava ha trovato nel competitor più affine, non un nemico, ma una via per respirare. Il mercato si è così evoluto senza scossoni, ma in un moto ondulatorio[1] che fa apparire questo day after meno tragico di quanto si temesse.
Il merito va anche ad Astoi Confindustria Viaggi, che in pandemia ha rappresentato una casa solida e accogliente per i t.o. Il luogo del “mal comune”, ma anche del “mezzo gaudio”: una famiglia, insomma.
Seduto a capotavola Pier Ezhaya, il mister president che abbiamo visto lottare dappertutto: dai palazzi alle tribune, alle televisioni. È con lui che oggi parliamo delle battaglie vinte e di quelle mancate, dei vizi e delle virtù di un’industria costretta a cambiare, di booking, di prezzi, di “vita intensa, felicità a momenti e futuro incerto”, per dirla con Tonino Carotone. Perché, no, sul secondo mandato da presidente non si sbilancia: l’ultima parola sulla candidatura spetta ai soci.
La bilancia delle partenze da che lato penderà questa estate: ancora Italia o outgoing? Come procede il booking?
«L’Italia gioca ancora un ruolo molto importante ma quest’anno, a differenza degli ultimi due, condivide lo scaffale con altre importanti destinazioni, a cominciare dall’Egitto che, per i suoi fondamentali, rimane la meta più competitiva del medio raggio. Registriamo una Grecia e una Spagna più reattive del 2021, ma soprattutto sono tornate alla ribalta alcune icone del lungo raggio: gli Stati Uniti, molto tonici, ma anche l’East Africa e il Sud-Est asiatico, dove l’indiscussa regina di quest’estate è tornata a essere l’Indonesia».
Caro vacanze: secondo la European Travel Commission, il budget è l’unico vero freno alle prenotazioni. Quanto è aumentato in Italia la quotazione media di un viaggio organizzato?
«È indubbio che l’aumento delle materie prime abbia avuto un impatto a 360° e non parlo solo di jet fuel e dollaro, che sono le cose più ovvie da rilevare, ma anche dei costi di approvvigionamento degli hotel, dall’energia, al food & beverage e del costo del personale. L’aumento medio sui pacchetti dipende molto dall’incidenza del volo, ma può arrivare anche al 15-20%».
Crede che l’industria debba fare un passo indietro e calmierare i prezzi per riprendersi la middle class?
«Forse in passato le crisi erano più geografiche, ma adesso affrontiamo problemi che hanno impatti globali. Purtroppo, non c’è un modo per calmierare i prezzi, se non temporaneamente. Quello che mi aspetto è che la “middle class” aggiusti il tiro intervenendo sugli elementi della propria vacanza per riconfermare lo stesso budget (diverso livello alberghiero, riduzione della durata del soggiorno, ore di volo, servizi extra in meno)».
Vizi e virtù dei t.o. in questa fase storica?
«Qualcuno ha studiato e si è ammodernato approfittando del “fermo macchina” obbligato; qualcun altro è andato in coperta e ha aspettato che passasse la tempesta. Il problema è che è tutto cambiato e pensare di ripartire da dove si è lasciato nel 2019 è un errore madornale di lettura e di visione. Due anni sono un’era geologica di questi tempi e gli stessi consumatori sono cambiati. Penso che chi ha fatto più ricerche di mercato e più analisi ne beneficerà significativamente, se non subito, tra qualche tempo».
Il nodo della carenza di personale riguarda anche il tour operating?
«Riguarda tutti i settori, perché credo sia più un fenomeno sociale e culturale che professionale. È cambiata la visione che i giovani hanno del lavoro e oggi, per alcuni ruoli, è molto difficile trovare personale. Il nostro è anche un Paese che ha evidenti difetti demografici. Un report dell’Istat indica che nel 2050 gli italiani saranno circa 54 milioni e poco più di 47 nel 2070 con un progressivo innalzamento dell’età media. Tutto questo non può non avere una ricaduta anche sul lavoro e qualche segnale inizia già a vedersi. Nel tour operating si fa molta fatica a trovare personale stagionale, così come è difficile trovare anche altri profili. Io credo che il governo dovrebbe studiare dei modelli integrati per questo tipo di lavoratori e per il nostro settore».
Alcuni piccoli e medi t.o. sono passati di mano, vittime di una selezione naturale accelerata dalla pandemia. Quali sono le regole d’oro, oggi, per restare sul mercato in salute?
«Non avverto molti “passaggi di mano”, a dire il vero. Qualcuno ha alzato bandiera bianca, sì, ma non ho visto grosse trasformazioni. Le regole d’oro sono il controllo dei costi, perché il nostro è un settore poco capitalizzato e a bassi margini; poi lo sviluppo tecnologico; e lo studio e la ricerca dei nuovi comportamenti d’acquisto, non solo quelli che ci sono oggi e che ancora non tracciamo, ma anche quelli che verranno. Dobbiamo preparare dei prodotti che siano adatti a chi oggi ancora non consuma, ma tra qualche tempo lo farà».
Il governo non vi ha dato tutto ciò che avevate chiesto. Le mancanze più gravi?
«Ci sono conti ancora in sospeso. Quello che si è presentato come il “governo dei migliori” è stato un po’ distratto verso il turismo organizzato. Credo che rispetto al Conte 2 avesse meno elasticità sugli scostamenti di bilancio ma, detto questo, penso che non abbia proprio voluto capire alcune dinamiche economiche del nostro comparto. Forse ha pensato che ce la saremmo cavata comunque e, quand’anche questo fosse vero, sarebbe comunque sbagliato perché molti dei danni subiti non sono stati generati dalla pandemia, ma dall’irrigidimento delle misure restrittive volute dal ministero della Salute proprio quando tutti gli altri Paesi europei le rilassavano. Penso che tali decisioni, molto difficili da comprendere, andassero almeno indennizzate. Se non mi fai operare, mi devi ristorare. Non è difficile da capire, no? Ciò nonostante, non mi sento nemmeno di dire che non abbiamo avuto alcun supporto. Nel 2022, tra contributi a fondo perduto e decontribuzione, sono stati messi a disposizione circa 100 milioni. È poco, ma non è giusto dire che sia zero. Ciò che trovo molto grave è che non sia stato ristorato il 2021. Quello è davvero lo sfregio più profondo. E la sordità su questo tema da parte del governo è stata imbarazzante».
Se si trovasse al tavolo con Mario Draghi, cosa gli direbbe e cosa chiederebbe per il turismo?
«Gli chiederei di analizzarlo più a fondo. Sono sicuro che se lo guardasse in profondità, lui che è un pregiato economista ne capirebbe il vero potenziale. Sul fronte domestico, c’è da fare moltissimo e serve un piano nazionale serio e strutturato, ad ampio respiro, che aiuti il Paese a dotarsi di un sistema turistico moderno e integrato. Noi siamo fortunati perché siamo “il Paese più bello del mondo” e non lo dico da italiano, ma da tecnico del turismo. Eppure questo non basta più. I bisogni delle persone sono cambiati radicalmente e noi non abbiamo un’offerta turistica integrata che sappia assolverli sempre. Abbiamo delle eccellenze, quello sì, ma serve un sistema più moderno».
Un messaggio per Garavaglia, invece?
«È un ministro straordinariamente disponibile, non posso negarlo. Ed è anche molto preparato sul piano economico, come dice la sua carriera. Il turismo forse gli è arrivato “un po’ addosso” e non è un comparto facile da capire. Credo sia stato molto limitato dalla linea generale del governo e tante volte si sia preso le nostre arrabbiature, anche un poco accese, non avendo una diretta responsabilità perché le risorse da mettere a disposizione erano pochissime e il settore ne aveva bisogno di moltissime. Detto questo, credo avrebbe dovuto lottare un po’ di più per il “suo comparto”. L’ha fatto con il ministero della Salute, un po’ meno col resto del governo».
Astoi continuerà a fare squadra con la distribuzione oppure, ora che siamo fuori dall’emergenza, il pool di sigle del turismo organizzato può dirsi sciolto?
«Da tempo Astoi ha cercato di fluidificare l’unione tra le associazioni delle agenzie di viaggi (dato che i tour operator una casa comune e unica l’hanno già trovata). Ho più volte detto che presentarsi in 5, in 6 o in 7 davanti alle istituzioni per rappresentare il turismo organizzato è semplicemente ridicolo. Ho auspicato un passo indietro per il bene comune, ma ciò purtroppo non è avvenuto. Anzi, in taluni casi, è emerso un protagonismo davvero difficile da capire. Abbiamo faticosamente cercato almeno di armonizzare le richieste e le azioni da intraprendere e fino a un certo punto ci siamo anche riusciti. Ora, un’associazione si è sfilata e siamo “rimasti in 5”; già dirlo mi mette a disagio. Detto questo non ci sono altre strade che quella di lavorare assieme, armonizzando le azioni e le proposte. L’unione è direttamente proporzionale ai risultati».
Il suo incarico in Astoi è in scadenza. Si rende disponibile a un nuovo mandato da presidente?
«Posso non rispondere? Scherzi a parte, è stata un’esperienza che mi ha molto impegnato. Sicuramente formativa, ma davvero molto stancante, anche emotivamente. L’ho fatta con la massima estensione dello spirito associativo, dimenticando l’azienda che mi paga lo stipendio e mettendomi a disposizione del comparto. Però è stata davvero molto impegnativa e, oggi che l’attività è ripresa quasi normalmente, non so se potrò sottrarre ancora così tanto tempo al mio ruolo in azienda. Sicuramente contribuirà alla mia decisione anche l’opinione che i soci manifesteranno sul mio operato. Io dovevo rappresentarli, ma sono loro che devono esprimersi su come ciò sia stato fatto. Non conta ciò che penso io, ma solo ciò che pensano loro. Se sei un presidente serio è con questo spirito che devi affrontare un’eventuale rielezione. Anche per questa ragione, già adesso, in preparazione dell’assemblea del 6 ottobre, si stanno svolgendo le consultazioni con i soci per avere un loro orientamento generale sul consiglio direttivo e sul presidente da eleggere. Insomma, tra un po’ tireremo le somme e dovrò sciogliere la riserva».
Se l’Ezhaya bis è solo un’ipotesi, una cosa invece è certa: il Manifesto del secondo mandato si cela tra le righe di questa intervista in cui il presidente Astoi ragiona su presente e passato, ma guarda dritto al futuro.
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