by Mariangela Traficante | 23 Novembre 2023 15:54
Ottimismo dalla travel industry in un contesto di luci e ombre delineato dall’economia e dalla geopolitica: è ciò che emerge dal convegno di apertura di BizTravel Forum[1] – titolo dell’edizione 2023 “Deus ex machina” – in cui a fare gli onori di casa è stato Luca Patanè, presidente Gruppo Uvet, ricordando che «questa è un’edizione importante perché segna il ventennale della manifestazione».
«Il mercato del business travel nel 2022 aveva già superato del 47% l’anno precedente e si prevede che nel 2024 tornerà ai livelli pre pandemia, dimostrando una grandissima capacità di ripresa; nel triennio 2021-2023 l’Italia è rientrata nella cerchia ristretta di chi ha dimostrato di tenere questa voce di spesa elevata». Lo conferma Sandro Gargiulo, head of account management Southern Europe di Travelport. Il comparto bt è quello che ha retto meglio, mantenendo stabilità, e il sentiment di ottimismo delle aziende è moto elevato, anche se approccio al viaggio di lavoro è cambiato. E il manager vede molti punti di contatto con il leisure, settore da cui il business travel deve prendere l’attenzione al viaggiatore d’affari: «Secondo una ricerca Travelport l’86% dei dipendenti sarebbe disposto a cambiare posto di lavoro se si rendesse conto che l’azienda non si preoccupa del suo benessere durante i viaggi d’affari. Bisogna ascoltare le necessità del dipendente».
Per Pietro Diamantini, direttore Business Alta Velocità, Trenitalia Spa, «alla ripresa hanno contribuito anche gli accordi stipulati dagli operatori della mobilità a livello di sistema Paese, e il desiderio di tornare al rapporto diretto, agli incontri con i clienti e ad attività di prossimità. Abbiamo capito che doveva esserci un collante tra il mondo del bt e del leisure e abbiamo investito in attività di welfare azIendale per far in modo che i viaggi di lavoro siano connessi con attività di turismo».
«Iata parla di un 95% di recovery della domanda aerea attualmente rispetto al 2019 con la prospettiva di un recupero globale a fine 2024, che addirittura per l’Italia sul fronte internazionale potrebbe arrivare al 114%», spiega Emiliana Limosani, chief commercial officer Ita Airways. «Dal canto nostro, rispetto al 2022 abbiamo trasportato il 53% in più di passeggeri nel 2023 fino a ottobre, incrementando l’offerta del 68% e i ricavi del 77%. Abbiamo incrementato la flotta da 52 a 81 velivoli che diventeranno 85 per fine anno e di cui 33 di nuova generazione. E nel 2024 aumenteremo l’offerta del 36%, puntiamo sul lungo raggio, con nuovi voli in Nordamerica come Chicago e area del Golfo su Jedda e Ryadh».
La ripresa così veloce è stata una piacevole sorpresa per Andrea Tucci, vice president Sea, anche se gli aeroporti si trovano a dover fare i conti con le crisi. Il manager spiega che «la guerra in Ucraina pesa per il 4% sul traffico e la crisi mediorientale per il 6%, anche se in generale sono stati già raggiunti e superati i livelli di business del pre pandemia, anche se in un mercato diverso rispetto al passato. Cambiato è per esempio l’equilibrio del lungo raggio, in forte ripresa, dove oggi l’inbound conta per il 51%». Per Luca Patanè è segno della crescita dell’economia mondiale ma anche dell’attrattività dell’Italia sia leisure che business, e rappresenta un’opportunità per le aziende in cerca di nuovi mercati.
L’ottimismo degli operatori si inserisce in un contesto che secondo le analisi di The European House Ambrosetti rivela luci e ombre, come ha illustrato Corrado Panzeri, partner & head of the Innovation & Technology Hub: «Se da un lato gli ultimi anni ci hanno esposto a una sequenza di crisi tra economiche, sanitarie e geopolitiche, tanto che nel 2022 il dizionario Collins aveva eletto permacrisi come parola dell’anno, la capacità di recupero è stata alta e soprattutto in Italia, dove ha funzionato bene l’export. Anche la bilancia commerciale è positiva, come anche i numeri relativi all’occupazione, che però non sono esenti da criticità come i livelli di donne e giovani. E ora stiamo entrando in una fase di rallentamento del Pil, con colossi come la Germania che è ferma».
Una nota dolente per il nostro Paese rimane quella dell’innovazione. «In Italia non si registrano grandi investimenti in ricerca e sviluppo e sul fronte del valore della data economy il Paese rimane nelle retrovie nelle metriche di riferimento. Resta l’incognita del Pnrr e di come i fondi verranno destinati per non sprecare l’occasione, e naturalmente su tutto aleggia lo spettro dell’Ai generativa, che sarà chiamata anche a tamponare una dinamica demografica che potrebbe vedere l’uscita, da qui al 2040, di 3,7 milioni di lavoratori in Italia, e del relativo valore aggiunto di 270 milioni di euro», conclude il manager.
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