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Boeing, scatta l’indagine penale sull’incidente Alaska

Boeing da adobe

Boeing

E ora la vicenda Boeing vira sul penale. I vertici del colosso americano hanno scritto al Congresso Usa ammettendo di non riuscire a trovare più i documenti relativi alla lavorazione del pannello del portellone dell’aereo Alaska Airlines esploso in volo il 5 gennaio e di non poter nemmeno identificare i responsabili della messa in sicurezza del componente, sul quale mancavano ben quattro bulloni. Anche a seguito di queste palesi negligenze, secondo Il Sole 24 Ore che riprende il Wall Street Journal, il dipartimento di giustizia ha aperto un’indagine penale nei confronti di Boeing.

Le autorità giudiziarie americane starebbero procedendo speditamente con le testimonianze di personale di bordo e passeggeri per capire la dinamica, ma soprattutto per accertare le responsabilità relative alla grave anomalia riscontrata sul portellone staccatosi dal velivolo. In buona sostanza il tribunale intende verificare se siano stati rispettati tutti i protocolli di sicurezza. A fronte di questa legittima determinazione dei giudici il fatto nuovo di questa lettera firmata dal vice presidente di Boeing, Ziad Ojakli, con l’ammissione di una mancata documentazione relativa alla installazione del portellone del 737 Max. Diverse le ipotesi che i quotidiani americani si sono sbizzarriti a pubblicare: dall’effettiva negligenza nell’archiviare tali documentazioni fino alla possibile inesistenza della documentazione stessa, che quindi non sarebbe mai stata archiviata semplicemente perché non era stata realizzata come, al contrario, stabiliscono le rigide norme di sicurezza dell’aviazione civile americana.

In entrambi i casi Boeing ne esce decisamente male. E che non sia un buon periodo per la casa costruttrice americana lo confermano le notizie provenienti dalla Borsa, dove nell’ultima settimana ha perso il 4% e dall’inizio dell’anno il titolo ha registrato un -25%.

E a margine di un periodo davvero poco felice per Boeing, giunge la notizia del presunto suicidio di John Barnett, ex dipendente del colosso aerospaziale, che aveva denunciato pubblicamente violazioni degli standard di sicurezza nei processi di produzione degli aerei di linea della compagnia. La notizia è stata ripresa da Dagospia, che ha citato www.today.it. Il 62enne ingegnere, con 32 anni di carriera in Boeing – durante i quali aveva anche assunto il ruolo di responsabile della qualità – si sarebbe tolto la vita il 9 marzo con un colpo d’arma da fuoco.

Il corpo è stato ritrovato nel suo furgone in un parcheggio di un hotel di Charleston, dove Barnett aveva già testimoniato in una causa contro la società e proprio sabato scorso avrebbe dovuto essere sottoposto a un ulteriore interrogatorio. Barnett non si è presentato e sono scattate le ricerche. Alla Bbc il suo legale ha parlato di morte «tragica», mentre in un comunicato Boeing ha espresso il proprio cordoglio: «Siamo rattristati dalla scomparsa del signor Barnett e i nostri pensieri vanno alla sua famiglia e ai suoi amici».

Barnett ha lavorato per Boeing fino al suo pensionamento nel 2017, per motivi di salute. Dal 2010 ha lavorato come responsabile della qualità presso lo stabilimento di North Charleston, nella Carolina del Sud, realizzando il 787 Dreamliner, un aereo di linea all’avanguardia utilizzato principalmente su rotte a lungo raggio. Nel 2019 aveva dichiarato alla Bbc che «i lavoratori sotto pressione sulla linea di produzione avevano deliberatamente montato parti che non rispettavano gli standard di sicurezza sugli aerei». Inoltre, aveva affermato di aver scoperto «seri problemi con i sistemi di ossigeno a bordo: una maschera respiratoria su quattro non funzionerebbe in caso di emergenza».

Barnett aveva anche raccontato di aver allertato i dirigenti, ma non era stato preso alcun provvedimento. Boeing, però, ha sempre respinto le sue accuse. Tuttavia, una revisione del 2017 da parte della Faa ha confermato alcune delle preoccupazioni espresse da Barnett e a Boeing era stato ordinato di intraprendere azioni correttive.

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