Booking evade il Fisco? Assoturismo chiede giustizia
A poche ore dall’annuncio di possibili indagati nella vicenda che vede il portale Booking coinvolto in un’indagine per evasione fiscale pari a 350 milioni di euro, giunge la richiesta di intervento del legislatore da parte di Assoturismo Confesercenti.
Le indagini condotte dalla Guardia di Finanza sono scattate nel dicembre 2018 con accertamenti richiesti dalla Procura di Genova. Il passaggio chiave dell’intera vicenda è il recupero del gettito fiscale, che non viene richiesto da Booking ai proprietari di abitazioni senza partita Iva e non viene poi versato dalla società.
Un meccanismo che genera un doppio problema: la perdita di entrate per il Fisco e la concorrenza sleale nei confronti delle strutture ricettive che pagano l’Iva. Booking, invece, potrebbe operare come sostituto d’imposta, come fa per esempio Airbnb.
Allo stato dei fatti la società è sotto procedimento giudiziario per violazione della legge sui reati tributari, con una motivazione che recita: “L’intermediazione di Booking sugli affitti delle abitazioni di privati senza partite Iva, potrebbe aver generato, tra il 2013 e il 2019, un’evasione dell’Imposta sul valore aggiunto pari a 350 milioni di euro”.
Da qui la nota diffusa da Assoturismo nella quale si evidenzia che l’eventuale maxi evasione sarebbe “l’ulteriore dimostrazione che esiste davvero un problema di trasparenza e di concorrenza sleale nell’intermediazione turistica online. Una questione su cui la politica dovrebbe intervenire prima delle procure”.
Il presidente dell’associazione, Vittorio Messina, non usa mezzi termini: «Al di là del caso specifico, attendiamo da anni un intervento organico per riequilibrare le condizioni tra web e attività offline. Il boom degli affitti brevi e delle piattaforme di sharing economy è stato accompagnato da una crescita dilagante dei fenomeni di abusivismo e irregolarità, che danneggiano le imprese che seguono le norme e mettono a rischio i turisti».
«Nessun governo, italiano o europeo, sembra essere riuscito a trovare il modo di intervenire – prosegue Messina – La web tax approvata nell’ultima legge di Bilancio, seppur da correggere in molti punti, era un passo avanti nella giusta direzione, ma è rimasta lettera morta, in mancanza dei decreti attuativi necessari. Non si potrà lasciare a lungo la questione solo alle procure e alle forze dell’ordine: c’è bisogno di un nuovo quadro normativo, che crei le condizioni per una competizione leale con il canale web».