by Andrea Lovelock | 30 Aprile 2018 14:49
I tour operator europei accendono di nuovo i riflettori sui danni operativi che la Brexit può creare nel mondo dei viaggi. Un’allarme che riguarda alcune professioni ma anche l’Iva, contenuto in una memoria presentata alla Commissione Trasporti e Turismo del Parlamento europeo da Tom Jenkins, ceo di Etoa, l’associazione che raggruppa i t.o. del vecchio continente.
Innanzitutto, risulterebbe a rischio lo status di alcune figure, come le guide e i rappresentanti delle imprese britanniche in Europa. Un’altra criticità riguarda l’applicazione dell’Iva: nel regime attuale, conosciuto con l’acronimo Toms (Tour Margin Scheme), le società con sede nell’Ue non hanno necessità di registrarsi e contabilizzare l’Iva in ogni Paese diverso in cui operano, con grande risparmio in termini di tempo e di costi.
Jenkins ritiene fondamentale che tale schema resti invariato dopo la Brexit, tanto per le società con sede nel Regno Unito che portano visitatori in Europa, quanto per le imprese con sede nell’Ue che organizzano viaggi nel Regno Unito. «Tutto ciò che aggiunge oneri e costi amministrativi è dannoso – afferma il ceo di Etoa – Le quattro libertà di beni, servizi, lavoro e capitale sono importanti per le imprese turistiche. Siamo in grado di soddisfare la domanda ovunque si presenti e di fornire il prodotto ovunque esso esista. Ciò amplia le possibilità di business e arricchisce la scelta per i consumatori».
E poi aggiunge: «Se il modo più semplice per fare trading sarà stabilire uffici sia nel Regno Unito che in Europa continentale, le aziende lo faranno. Ma ciò rappresenterà un aumento degli oneri amministrativi. Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che le attuali norme Ue sono tutt’altro che perfette e anche le ultime modifiche alla direttiva sui pacchetti turistici risultano già obsolete».
L’appello di Etoa si conclude con un forte richiamo ai negoziatori della Brexit affinché operino per mantenere lo status quo nel settore turistico.
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