E ora che succederà? È la domanda che rimbalza dal Tirreno all’Adriatico, in Sardegna come in Puglia, tra gli ombrelloni di tanti stabilimenti balneari italiani ma anche tra quelli di resort, villaggi e alberghi con arenili privati. La sentenza del Consiglio di Stato di fine marzo, giunta come un fulmine (ma non certo a ciel sereno) si è abbattuta a pochi giorni dall’avvio della stagione estiva.
Lo stop immediato alle proroghe e l’obbligo di mandare in gara le nuove concessioni demaniali ha gettato nello sconforto l’intera filiera del mare Italia organizzato. Già, perché in questo scenario non operano soltanto i gestori di stabilimenti balneari, protagonisti in questi mesi di una sorta di “resistenza”, ma anche albergatori, tour operator che gestiscono resort e villaggi con spiagge private e super attrezzate.
LA POLITICA HA TOPPATO
Che si navighi a vista lo conferma Paolo Manca, amministratore delegato e cofondatore di Felix Hotels (otto strutture ricettive in Sardegna), nonché presidente della divisione sarda di Federalberghi e vice presidente di Federalberghi nazionale: «Affronteremo la stagione estiva con crescente incertezza. Come sempre siamo arrivati a gestire la situazione all’italiana. Il problema esiste da anni e non è stata trovata una programmazione comune in Italia e con l’Europa. Un retaggio storico che ci trasciniamo da 50 anni. Ma la politica non ha fatto la sua parte e non ha escogitato una soluzione ottimale. Oggi ci troviamo con una realtà che mette a rischio le imprese sane, che programmano e che hanno fatto investimenti».
Di fatto, prosegue, «lo stallo mette in crisi l’intero sistema, perché nel caso di albergatori e operatori che gestiscono strutture con spiagge attrezzate, pur non essendo gestori puri di stabilimenti, l’incertezza pesa molto. Pensiamo a un albergatore che basa il proprio prodotto commerciale su un mix di ospitalità combinato al servizio-spiaggia integrato, che è quindi focalizzato su questo tipo di business, costui si trova a dover presidiare il mercato con un’offerta priva di quel servizio integrato sul quale ha programmato e magari anche investito. Il vero auspicio è che si inizi a lavorare a una soluzione definitiva che consenta una ripartenza della programmazione e per questa stagione ipotizzare una soluzione-ponte. Perché altrimenti si rischia di affidare il sistema ricettivo del mare Italia a “maree” che penalizzano l’intera filiera turistica, già fortemente condizionata da variabili come le guerre e i disservizi dei voli post Covid».
COSTE A MACCHIA DI LEOPARDO
Riguardo alla situazione in Sardegna, Manca è molto schietto: «Nella nostra regione che da sola conta quasi un quarto delle coste italiane, ci sono realtà molto diversificate: abbiamo gestori alberghieri che hanno concessioni classiche, ovvero quelle che andranno a bando e che rischiano di non avere nuove autorizzazioni da parte dell’ente erogatore; poi ci sono gestori balneari con situazioni intermedie, che avendo partecipato a qualche bando sono più tranquilli; e i titolari di concessioni annuali rilasciate dal Comune in base a leggi regionali che hanno consentito a tanti alberghi di avere un loro spazio-mare con spiaggia attrezzata a fronte di rigidi parametri».
«Ma il vero problema che unisce tutti è il caos normativo che induce gli stessi funzionari pubblici a non prendere più decisioni che potrebbero ritorcersi contro. Pensiamo solo alle delibere che si devono fare e sulle quali c’è il crescente rischio di una pioggia di ricorsi. Un clima così confuso non stimola nuovi investimenti, non invoglia a rinnovi di concessioni e non permette una seria programmazione». Una situazione caotica confermata da notizie dell’ultima ora come la pronuncia del Tar di Bari che, contrariamente a quanto decretato a livello nazionale, conferma per 21 stabilimenti balneari di Monopoli la proroga delle concessioni fino al 2033.
COMPETIZIONE AGGUERRITA
Articolata la riflessione di Giuseppe Pagliara, presidente del Gruppo Nicolaus-Valtur: «La recente sentenza del Consiglio di Stato rappresenta una svolta significativa per il settore turistico costiero, per resort, villaggi e alberghi che gestiscono spiagge attrezzate. Prima di tutto introduce un livello di incertezza nel lungo periodo per gli operatori che, in passato, potevano contare su una certa continuità nella gestione delle aree demaniali. Questo cambiamento impone alle strutture turistiche di rivedere le loro strategie di investimento e di sviluppo, poiché il rinnovo delle concessioni non è più garantito. Gli alberghi con spiagge attrezzate dovranno ora competere con altri operatori del settore per ottenere le concessioni attraverso le gare, il che potrebbe portare a un aumento dei costi di gestione».
In tale scenario, sempre secondo Pagliara, potrebbero «ridursi i margini di profitto, imponendo agli operatori la necessità di aumentare la qualità e la varietà dei servizi offerti per attrarre e mantenere la clientela. Inoltre – conclude – l’obbligo di partecipare a gare pubbliche potrebbe favorire una maggiore trasparenza ed equità nel processo di assegnazione delle concessioni, ma anche aprire il mercato a nuovi entranti, incrementando la competizione. Gli operatori esistenti dovranno dimostrare la capacità di offrire un valore aggiunto significativo per poter ottenere o rinnovare una concessione».
IL MARE NON È UN “ACCESSORIO”
Va dritto al punto Paolo Terrinoni, amministratore delegato Voihotels, la catena del Gruppo Alpitour World: «La disponibilità delle spiagge non è un fattore accessorio per l’industria alberghiera italiana. Il turismo è un settore strategico e occorre una visione che sappia far prevalere gli interessi del Paese. Nell’immediato è molto urgente uscire da un’incertezza normativa che sta limitando le aziende, ma anche con la cura e la conservazione delle coste».
L’ULTIMA SPIAGGIA
A conti fatti sulle concessioni demaniali ci sono due fatti incontrovertibili e ai quali il governo Meloni dovrà adeguarsi: l’avvio, a novembre scorso, dell’avvio della procedura d’infrazione della Commissione Ue nei confronti dell’Italia e ora la sentenza del Consiglio di Stato. Nella sua azione Bruxelles aveva contestato i risultati del tavolo tecnico istituito dall’esecutivo, con la stesura dell’ormai famosa mappatura che asseriva come le concessioni demaniali in essere occupassero solo il 33% delle aree disponibili.
Per la Commissione europea i risultati non erano “idonei a dimostrare che su tutto il territorio italiano” non vi fosse “scarsità di risorse naturali oggetto di concessioni balneari”. Ma la vera e propria “pietra tombale” sulla vicenda è posta da Palazzo Spada, secondo cui “le proroghe disposte dal legislatore italiano sono in contrasto con le norme europee (direttiva Bolkenstein, ndr) e devono essere quindi disapplicate sia dai giudici che dalla Pubblica Amministrazione. L’ultima spiaggia? Potrebbe essere solo un intervento – benché peregrino – della Corte Costituzionale.