Cinquanta associazioni, un solo deficit mediatico
Sono circa 50 le sigle del comparto turistico che appartengono alle tre galassie di riferimento: Confindustria, Confcommercio e Confesercenti. Per essere precisi, in area confindustriale gravitano 23 sigle in rappresentanza di 9mila aziende, nel perimetro di Confcommercio ne vengono certificate 12 in rappresentanza di parecchie decine di migliaia di aziende e in casa Confesercenti se ne contano ben 14.
Gran parte di queste hanno un proprio ufficio stampa e una struttura dedita da tempo ad attività anche social. Eppure, giorni fa su due canali Rai e sull’agenzia di stampa Ansa, per fare un consuntivo turistico sugli ultimi due ponti, sono stati menzionati dati turistici della Cna, la confederazione dell’artigianato. Nei mesi scorsi, per analoghi consuntivi sugli arrivi turistici, era stata citata addirittura Legambiente. Con tutto il rispetto per questi organismi, appare assai strano che le principali voci dell’industria turistica risultino “afone” o proprio inesistenti. C’è dunque un deficit mediatico? E da che dipende?
Il presidente di Federturismo, Gianfranco Battisti, ammette: «Se si considera che in Italia operano oltre 16mila enti che direttamente o indirettamente si occupano di turismo, appare evidente che esiste un problema di comunicazione, così come di governance; d’altra parte con l’evoluzione della multicanalità è sempre più complicato presidiare i media e i vari circuiti. Noi sosteniamo da tempo la necessità di un accentramento di alcune funzioni anche a livello istituzionale e tra queste c’è proprio la comunicazione».
C’è poi, sempre secondo Battisti, «un grosso punto di debolezza che riguarda la frammentazione nella diffusione dei dati: più volte abbiamo discusso col Mibact su tale punto perché solo certi referenti hanno la gestione continua sulle dinamiche della domanda e, attraverso l’utilizzo sistematico di questi big data, è possibile pianificare una strategia condivisa per il turismo organizzato. Su questi limiti bisognerà mettere mano, sia a livello istituzionale che associativo».
Un’ammissione di carenza nella visibilità di un comparto che dovrebbe, invece, dominare la scena mediatica anche negli spazi dedicati all’economia. Basterebbe guardare alla bilancia turistica dei pagamenti stilata mensilmente dalla Banca d’Italia per avere contezza del peso specifico dell’intero settore.
C’è da dire, però, che ci sono delle eccezioni, grazie all’azione di lobbying di talune forti associazioni come Federalberghi, che rappresenta 33mila strutture ricettive, e saltuarie ma efficaci apparizioni televisive di personaggi di accertato carisma come lo stesso presidente degli albergatori, Bernabò Bocca, che è stato anche senatore. Ma nonostante ciò, non si riesce a sbloccare con continuità questa impasse mediatica.
Forse, proprio in tale ambito, sarebbe auspicabile individuare una reale condivisione fra le tre maggiori sigle e giocarsi alternativamente i passaggi televisivi e le visibilità social, non solo snocciolando i dati di arrivi e presenze, che ormai risultano stucchevoli e poco efficaci, ma mettendo sul piatto anche curiosità e tendenze di sicura presa sul pubblico.