by Andrea Lovelock | 10 Ottobre 2024 12:10
Due dati di fatto che non si possono più ignorare: l’effetto serra non diminuisce e sta prendendo forma una vera e propria migrazione di flussi turistici dal Mediterraneo al Nord Europa. Uno scenario che ha indotto gli analisti dello Studio Giaccardi & Associati, accademici dell’Università Bocconi e ricercatori dell’Enit ad avviare un progetto di ricerca, Tourism Climate Sensitive, presentato alla fiera di Rimini da Giuseppe Giaccardi, ceo dell’omonimo studio, ed Elena Di Raco, responsabile Ufficio studi Enit, per condividere insieme agli operatori del settore un percorso comune per fronteggiare il possibile allontanamento della clientela turistica da talune destinazioni colpite maggiormente di altre dall’emergenza climatica. In linea con il progetto europeo Cool Noons di cui abbiamo scritto nelle scorse settimane[1].
La ricerca si è focalizzata su destinazioni e imprese: sono state studiate 10 mete, tra le quali Norvegia, Valencia e sette aziende turistiche. In Italia il test è stato fatto su quattro località: Rimini (per il prodotto mare), Firenze (città d’arte), Cortina (montagna) e Bari (aree metropolitane).
Dallo studio è emerso che l’impatto del clima sulle vacanze[2] sarà molto importante per l’80% dei turisti e il fattore ambientale influenzerà le scelte e le attività degli stessi tour operator.
Riguardo poi ai rischi, quelli più gravi indicati da turisti e operatori sono inondazioni, nubifragi, siccità, scarsità d’acqua e danni alle infrastrutture. In particolare, poi, sono le temperature superiori ai 40 gradi a penalizzare le destinazioni mare e la scarsità della neve che già ora sta determinando la “riconversione” di molte località montane, rilanciando nuove forme di soggiorno autunnale e invernale. Gli stessi cambiamenti climatici lasciano spazio a forme di turismi alternativi come l’outdoor, il cicloturismo e l’enogastronomia.
Nel commentare la ricerca la presidente di Enit, Alessandra Priante, ha detto: «La marketing intelligence ci consente si individuare i trend e operare di conseguenza e quello dell’analisi del cambiamento climatico è uno dei passaggi-chiave perché sta avendo delle conseguenze nelle stagionalità e sta creando deficit di domanda. È dunque importante avere a disposizione buoni dati per prendere buone decisioni. In Europa, l’Austria ha rinnovato l’approccio adottando un indice di gradimento del turista: un parametro realizzato dialogando con le popolazioni residenti e con i turisti ospiti che diventa una preziosa e determinante misura di valutazione. Con simili indici e con osservatori mirati possiamo cogliere l’opportunità di orientare i flussi seguendo anche i condizionamenti climatici».
Anche Rodolfo Baggio dell’Università Bocconi ha tenuto a precisare che «i turisti sono molto sensibili al clima e le loro eventuali insoddisfazioni possono creare danni alle destinazioni. Grazie a questi studi ora sappiamo meglio quel che può succedere e influenzare i flussi. In particolare un indice climatico turistico può essere utile a capire in che modo e quanto certe condizioni climatiche siano favorevoli o meno al turismo. Il medesimo indice può far capire al turista quel che può fare in vacanza e quella a cui è bene rinunciare».
Ma di fronte a questo scenario i tour operator hanno contezza dell’importanza del fattore climatico? Alla domanda-chiave ha risposto Pier Ezhaya, presidente Astoi, sottolineando che «la consapevolezza tra i t.o. c’è. Del resto, basta guardare come si è evoluto il fenomeno turistico: nel 1950 si contavano nel mondo poco più di 25 milioni di turisti-viaggiatori, diventati centinaia di milioni negli anni Novanta e ora, in prospettiva 2030, se ne stimano 1,7 miliardi . È evidente che tutto questo avrà un forte impatto sull’ambiente e sul clima. Gran parte degli operatori ha avviato il percorso verso il traguardo delle emissioni zero entro il 2050, ma come per tutti i grandi problemi occorre una risposta corale, non la corsa di qualche singolo. In Astoi la maggior parte delle aziende ha già varato un programma di NetZero e presto anche le piccole imprese lo faranno. Un iter che naturalmente coinvolge compagnie aeree e albergatori».
Ezhaya ha poi precisato che molti t.o. si son già chiesti se gli effetti climatici cambieranno la domanda, le abitudini dei clienti: «Ebbene sì, ma purtroppo le risposte ancora disordinate. Intanto è vitale porci il problema della gestione dei flussi. Un esempio pratico? Il prossimo anno, nel trasporto aereo, sarà obbligatorio l’utilizzo di almeno il 2% di carburante Saf nei cieli europei: è un primo piccolo ma significativo passo. Ma è altrettanto corretto precisare che i programmi di sostenibilità sono tutti giusti purché si verifichino due condizioni: che siano operativamente possibili ed economicamente sostenibili. Questo perché oggi, una tonnellata di Saf costa 5 volte il corrispettivo quantitativo del cherosene tradizionale, e allora ci si chiede: chi lo deve pagare?».
«In ultimo – ha concluso Ezhaya – c’è la politica e ci sono i governi: credo che un governo non debba essere controllore e sanzionatore ma un leader che guidi, accompagni i soggetti e le imprese alle sfide della sostenibilità. In altre parole i costi e gli oneri non possono ricadere solo sulle spalle delle aziende. Queste ultime vanno aiutate a livello fiscale e soprattutto vanno sostenute nella formazione, perché c’è ancora inconsapevolezza e ignoranza sul tema».
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