Si è aggiunta anche Swiss Air alla lista – sempre più lunga – di compagnie aeree che hanno messo in stand-by le operazioni da e per l’aeroporto internazionale di Hong Kong.
Il vettore svizzero del Gruppo Lufthansa ha deciso di sospendere i voli da Zurigo per Hong Kong fino all’11 dicembre, “in risposta a un inasprimento delle disposizioni di quarantena locali per i membri dell’equipaggio”, ha dichiarato un portavoce della compagnia.
La settimana scorsa anche British Airways aveva dichiarato la temporanea sospensione dei voli per l’isola. La compagnia inglese ha preso la decisione dopo che alcuni membri dell’equipaggio sul volo BA027, risultati positivi al Covid-19 al loro arrivo a Hong Kong, sono stati trattenuti ed inviati al centro di quarantena di Penny’s Bay.
Non va meglio sul fronte cargo, da quando il gigante della logistica FedEx ha annunciato di aver rinunciato a ogni speranza di riaprire la sua base pilota in città (optando invece per una base a San Francisco, in California), incolpando le dure politiche anti pandemia «che non lasciano intravedere nessuna timeline chiara» rispetto quando la città potrà tornare alla normalità.
Hong Kong sta inseguendo Pechino nell’attuare una rigorosa politica Zero Covid. Imponendo, tra le varie misure, una quarantena obbligatoria dai 14 ai 21 giorni per quasi tutti gli arrivi, inclusi quelli degli equipaggi provenienti dall’estero, anche se completamente vaccinati.
La rigidità di queste regole, non sta soltanto mettendo a dura prova l’operatività delle compagnie aeree internazionali, ma sta anche creando grossi problemi alla compagnia di bandiera della città, Cathay Pacific. È di pochi giorni fa l’annuncio, da parte della compagnia, dell’annullamento di un terzo dei voli in entrata dall’estero, a causa della mancanza di personale.
Nelle ultime settimane, infatti, Cathay Pacific ha visto un’ondata di dimissioni da parte di piloti e personale di cabina, esausti dalle regole di quarantena obbligatoria.
L’agenzia di stampa Afp (Agence France-Presse) ha intervistato quattro piloti Cathay – garantendo l’anonimato – i quali hanno affermato di conoscere più di una dozzina di colleghi che si sono dimessi nelle ultime settimane, mentre altri stavano facendo domanda per posti di lavoro presso aziende competitor, con base in Paesi che sono passati ad una strategia di convivenza con il virus.
«Le cose vanno orribilmente, il tasso di dimissioni è alle stelle – ha dichiarato all’Afp uno dei piloti, con più di 20 anni di esperienza di volo – ci sono molti di ragazzi vicini al loro punto di rottura. In realtà è incredibile che non abbiamo ancora avuto un incidente».
I piloti residenti ad Hong Kong che operano su rotte internazionali, spesso trascorrono giorni, a volte anche settimane, facendo la spola all’interno di bolle da aereo a hotel per evitare di attivare la quarantena al loro ritorno.
La forma più estrema di queste bolle sono i voli “a circuito chiuso” in cui l’equipaggio trascorre circa cinque settimane in una bolla seguite da due settimane di quarantena a casa.
Le cose sono peggiorate, aumentando l’esasperazione dei lavoratori, il mese scorso, quando più di 270 persone – composte da circa 120 membri dell’equipaggio più le loro famiglie – sono state trasferite in un campo di quarantena governativo dopo che tre piloti sono risultati positivi al coronavirus al ritorno dalla Germania. Il trio è stato successivamente licenziato dall’azienda, a causa del sospetto che avessero lasciato le loro stanze d’albergo durante lo stop-over.
In una dichiarazione, Cathay Pacific ha affermato di riconoscere «che queste regole e il periodo di tempo da cui sono in vigore stanno gravando sull’equipaggio, che è stato esemplare nella condotta e professionalità durante questo periodo difficile», ma, almeno per il momento, la compagnia si atterrà a quanto fatto finora.
Questo atteggiamento sta mantenendo la città libera dal coronavirus ma isolata a livello internazionale. Per le autorità dell’isola, però, al momento la priorità è quella di riuscire a aprire i flussi con la Cina continentale.
Come sottolinea il quotidiano The Straits Times, «per i leader di Hong Kong la normalizzazione dei viaggi con la Cina deve venire prima del resto del mondo, una strategia che ha causato un crescente allarme all’interno delle multinazionali operanti nel territorio».
Un altro pilota di Cathay intervistato da Afp ha dichiarato di ritenere che i leader di Hong Kong abbiano abbandonato l’idea che la città sia un hub internazionale su richiesta dei «nostri signori del nord» – riferendosi a Pechino; «Amo Hong Kong – ha riferito il pilota – ma se non pianificheremo la nostra via d’uscita con una tabella di marcia, la domanda diventa: cosa ci faccio qui?».