Sempre peggio. Secondo le ultime ricerche di Iata, l’impatto della chiusura del traffico aereo a causa della pandemia da Covid-19 sull’industria aeronautica e sulle economie europee è peggiorato nelle ultime settimane.
“Le compagnie aeree in Europa dovrebbero perdere 21,5 miliardi di dollari nel 2020, mentre la domanda dei passeggeri sarà in calo di oltre la metà”. E ancora: “Ciò mette a rischio tra 6-7 milioni di posti di lavoro sostenuti dal trasporto aereo nella sola Europa”.
Tra i vettori del vecchio continente però, a dover portare i libri in tribunale, almeno per il momento, è stata solo Level Europe, filiale austriaca di Level facente parte del Gruppo Iag. Lo stesso Gruppo che, per bocca del suo numero uno Willie Walsh, non più tardi di qualche settimana fa ha definito «non eccessiva» la decisione di licenziare 12mila dipendenti di British Airways (circa un quarto del totale).
Eh sì, perché se non sono state interessate da salvataggi pubblici, e in alcuni casi anche se sono state salvate da piani di aiuti statali, le compagnie europee, e mondiali, hanno attuato una serie di massicci piani di riduzione dei posti di lavoro per provare a fronteggiare le conseguenze della pandemia di coronavirus. «Ogni possibilità di ritornare ai livelli pre-Covid è rimandata al 2023. E l’unica cosa che adesso è possibile fare, è «ristrutturare le attività in modo profondo», ha aggiunto Walsh.
La stessa cosa che hanno pensato dalle parti di Lufthansa che, in attesa dell’arrivo dei nove miliardi di euro previsti dal salvataggio pubblico, ha annunciato una ristrutturazione che potrebbe portare al taglio di 26mila posti di lavoro su scala mondiale, il 19% del totale (a cui si aggiungono, per restare al Gruppo di Francoforte, 1.100 posti di lavoro di Austrian Airlines, altri 1.000 di Brussels Airlines e 500 di Lufthansa Cargo).
Stessa “musica” anche dalle parti di Air France-Klm, dove dopo aver ricevuto un pacchetto di aiuti da oltre sette miliardi di euro dai rispettivi governi, sono adesso alle prese con il taglio “volontario” di circa 6mila posti di lavoro. Numeri ancora più significativi sono stati quelli di Sas Scandinavian Airlines, dove i posti di lavoro a rischio sono 5mila, e i crediti concessi sono stati vicini a 3,3 miliardi di corone svedesi.
Non da meno, sul fronte del ridimensionamento del personale, sono state anche le due “big” del trasporto low cost: easyJet, che si è detta pronta a “mettere a riposo” il 30% dei suoi dipendenti (circa 4.500) e Ryanair che ha intenzione di licenziare 3mila membri del personale, circa il 15% del totale. «Si tratta della mossa “minima” che possiamo fare per sopravvivere nei prossimi 12 mesi», ha detto dal canto suo Michael O’Leary, numero uno del vettore irlandese.
Ma la situazione in tema di riduzione del personale è particolarmente sentita anche in altri continenti. “Sfortunatamente, dovremo dire arrivederci ad alcune delle fantastiche persone che lavorano con noi”, ha detto qualche settimane fa un portavoce di Emirates, riferendosi a possibili tagli per 30mila posti di lavoro.
Del resto, anche poco distante, a Doha, i vertici di Qatar Airways avrebbero in programma la fine della collaborazione con 10mila dipendenti. E se in Asia Thai Airways è stata da poche settimane ammessa a una procedura simile al Chapter 11 (per i 6mila posti di lavoro in predicato di essere tagliati, la compagnia ha promesso che il tutto non avverrà nel breve termine), negli Usa i “progetti” di American Airlines, Delta e United parlano tutti di tagli e incentivi al personale di terra per un totale del 30% della loro forza lavoro.