by Redazione | 6 Marzo 2020 9:26
Non ci sono solo hotel, tour operator e società di autonoleggio a pagare lo scotto dell’emergenza da coronavirus. Gli ultimi giorni, al di là della messa in liquidazione di Flybe[1], hanno registrato un vero e proprio bollettino di guerra per tutte le maggiori compagnie aeree mondiali, costrette a ridurre capacità in Italia e nel resto del mondo.
Risultato: Iata, da parte sua, ha aggiornato i dati sul crollo della domanda dei voli, tanto da prospettare scenari a dir poco a tinte fosche. Se il coronavirus dovesse allargare la propria area di diffusione, il traffico aereo a livello mondiale subirà una sorta di “quarantena” per tutto il 2020, con perdite superiori ai 113 miliardi di dollari.
Un crollo che sarebbe paragonabile alla crisi finanziaria del 2008, con Australia, Cina, Giappone, Malesia, Singapore, Sud Corea, Thailandia e Vietnam che brucerebbero il 23% dei ricavi, mentre in Europa, Austria, Francia, Italia, Germania, Olanda, Norvegia, Spagna, Svizzera, Svezia e Gran Bretagna perderebbero un quarto del totale dei ricavi, meno 37 miliardi di euro contro il -10% di Canada e Usa (-21 miliardi di dollari).
Gli ultimi dati pubblicati dall’associazione che raggruppa il 90% dei vettori mondiali parlano però anche di uno scenario più “ottimistico”, con una perdita complessiva di 63 miliardi di dollari, concentrati soprattutto in Cina (-23%), Giappone (-12%), Singapore (-10%), Sud Corea (-14%), Italia (-24%), Francia (-10%), Germania (-10%) e Iran (-16%).
Ciò che fa preoccupare, però, è che soltanto 15 giorni fa la stessa Iata aveva previsto un calo dei ricavi vicino ai 26 miliardi di euro (29 miliardi di dollari), con uno scenario limitato a Cina e Paesi asiatici vicini. Una fotografia che oggi appare già superata, come dimostrano le decisioni di tutti i principali vettori mondiali. Mentre infatti alcune compagnie cinesi stanno riprendendo a volare verso alcune destinazioni, dal Gruppo Lufthansa a Ryanair, da easyJet a Iag, da Air France-Klm alle big americane, tutti hanno pensato a ridurre i propri operativi, lasciando a terra numerosi aeromobili, per far fronte al crollo della domanda.
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