Nulla può la ormai arcinota direttiva Bolkestein, se lo Stato membro valuta la scarsità delle risorse naturali. Le concessioni balneari annoverano così un nuovo atto della telenovela che coinvolge migliaia di stabilimenti in Italia: una sentenza del Tar di Lecce, prendendo atto della pronuncia della Corte di Giustizia – secondo cui l’applicabilità «della direttiva Bolkestein è subordinata alla previa verifica e valutazione da parte dello Stato membro della scarsità della risorsa naturale, procedimento che si caratterizza per l’ampia discrezionalità e che costituisce adempimento doveroso e necessario, in quanto primo presupposto o pre-condizione – ha infatti affermato – che il “termine di cessazione di efficacia delle Cdm è stato prorogato fino al 31/12/2024 dal Legislatore con il dl 198 del 29 dicembre 2022, convertito con modifiche con legge 24 febbraio 2023 n. 14, norma successiva e di pari grado rispetto alla precedente».
Di fatto la sentenza del Tar di Lecce (numero 1223 del 2 novembre 2023) rappresenta la pronuncia definitiva sul ricorso che l’Agcm aveva depositato contro la proroga delle concessioni balneari al 2033 disposta dal Comune di Ginosa.
Tra l’altro la Corte di Giustizia ha stabilito che la direttiva europea (2006/123) «conferisce agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali», come precisa il Tar. Un vero e proprio margine di discrezionalità che di fatto può indurre anche in futuro ad effettuare valutazioni caso per caso, che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero di un comune o dell’autorità amministrativa competente. Di fatto, ciò che la pronuncia del Tar ritiene essenziale, è che «i criteri adottati da uno Stato membro per valutare la scarsità delle risorse naturali utilizzabili si basino su dati obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati».