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Crac Fti, chi trema e chi no.
E spunta l’ipotesi salvataggio

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A poche ore dal fallimento di Fti Group le inevitabili ripercussioni e preoccupazioni occupano le pagine dei giornali trade e ingolfano i canali social, e le reazioni attraversano l’intera Europa.

In Spagna, in particolare nelle Canarie dove si stimano almeno 40.000 clienti colpiti dall’insolvenza dal polo turistico tedesco, è intervenuto in prima persona il ministro del Turismo Jessica de Lèon con una dichiarazione nella quale invita alla calma, anche se non si è ancora in grado di quantificare le ricadute. Di sicuro il Gruppo conta una ventina di strutture ricettive a Gran Canaria e Fuerteventura per un totale di 1.500 dipendenti. E quindi il crac di Fti lascerà certamente un grosso passivo, ma al momento non si possono fare stime. Ma il presidente degli albergatori spagnoli, Jorge Marichal, sottolinea che la situazione è molto meno preoccupante rispetto al flop di Thomas Cook, perché l’incidenza della clientela di Fti nelle destinazioni spagnole non supera il 5% e c’è poi la copertura del Fondo di garanzia tedesco.

In Grecia, il ministero del Turismo e il presidente della Federazione Panellenica degli albergatori hanno precisato che i pacchetti dei clienti di Fti Group in vacanza nel Paese, circa 7.500 ospiti in 250 alberghi, erano tutti prepagati o saldati in questi giorni, pertanto il rischio di insolvenze o di disagi per i viaggiatori è praticamente azzerato. La maggior parte dei turisti Fti era diretto per il 70% a Creta e Rodi, per il 30% a Corfù, Kos e altre isole minori.

LETTERA AI PARTNER: “INTERVERRÀ FONDO DI GARANZIA”

In Germania, Paese ancora scosso dalla notizia, Fti Group ha comunicato nelle scorse ore di aver inviato una lettera agli albergatori partner con i quali aveva stipulato contratti diretti, confermando che tutti i pacchetti turistici sono coperti dal Fondo tedesco di protezione dei viaggi, il Deutsche Reisesicherungsfonds (Drsf), grazie al quale tutti i viaggiatori in transito potranno completare i loro viaggi. Intanto, Fti ha sospeso le partenze dei suoi clienti e nel contempo i responsabili del Fondo hanno dichiarato di  disporre di un capitale sufficiente per far fronte alla situazione creatasi con la cessazione delle attività del terzo tour operator europeo, grazie adun capitale che si aggirerebbe intorno ai 750 milioni di euro. Per quanto riguarda le cancellazioni, Fti ha comunicato che, per il momento, sono sospese le partenze fino al 10 giugno.

L’IPOTESI DEL SALVATAGGIO IN EXTREMIS

Sullo sfondo, prende quota anche l’ipotesi di un suo salvataggio in extremis. Un rumor interessante proviene dalla Francia dove Morgann Lesnè, alto esponente della banca d’investimenti Cambon Partners, ha dichiarato a L’Echo Touristique che è «prematuro e poco saggio considerare morta Fti perché ci sono molti interessi in ballo e la sua fine non giova a nessuno: non conviene a Certares, che ha già versato 125 milioni di euro, poi rivelatisi insufficienti; non conviene al governo federale tedesco che con la chiusura di Fti dovrebbe certificare la perdita di quasi 900 milioni di euro versati al tour operator nel periodo della pandemia per mantenere in piedi l’azienda».

Per Lesnè è molto probabile che, tra pochi giorni, spunti un grosso investitore, magari arabo o cinese, o una banca d’investimenti, pronti a rilevare questo brand che ad oggi vale circa 7 milioni di clienti, oltre a disporre di una rete di distribuzione che conta 10mila agenzie di viaggi. A quel punto sarebbe lo stesso governo a favorire il salvataggio per tenere aperta la possibilità di vedersi restituire almeno una parte del mega prestito che aveva elargito.

ASTOI, EZHAYA: «IN ITALIA NON ESISTONO SITUAZIONI SIMILI»

Fin qui la cronaca, ma cosa deve insegnare il crac di Fti Group? Pier Ezhaya, presidente di Astoi, è molto esplicito: «Non dobbiamo pensare che il fallimento di un’azienda sia necessariamente il fallimento di un modello. Indubbiamente Fti è un grosso player internazionale ma questo non prescinde dal fatto che le aziende hanno dei modelli di gestione che ne determinano il successo oppure il fallimento. Senza entrare nel merito, perché non ne conosco i dettagli, credo che il crac di Fti sia nato durante il Covid e che poi l’azienda non sia riuscita a beneficiare della corrente ascensionale post pandemia che ha sospinto la domanda e i volumi».

E in Italia, seppur con le debite differenze, sarebbe possibile arrivare a certe criticità? «Credo che il nostro Paese – risponde Ezhaya – abbia già pagato il suo prezzo con l’uscita di scena di alcuni nomi importanti del turismo italiano nel 2009. Chi è sopravvissuto a quella fase oggi è invece più forte e mi sento di dire che in Italia non esistono situazioni analoghe. Primo perché il più grande Gruppo turistico italiano (Alpitour, ndr), che può essere equiparato a Fti per dimensioni, è un’azienda sana e nel 2023 ha fatto segnare dei risultati molto brillanti dando evidenza che i modelli verticalmente integrati, non solo sono possibili, ma anche redditizi; il secondo è che le altre realtà italiane, pur magari non essendo significativamente capitalizzate, sono comunque molto sane, trovando un giusto equilibrio tra dimensioni e strutture operative».

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