È l’11 luglio di questa rovente estate di ripartenza. Siamo a Helsinki per il battesimo di Sh Vega, ammiraglia di casa Swan Hellenic, gemella di Minerva con i suoi 9 ponti, 76 tra suite e cabine per 152 ospiti e i suoi servizi upper class, tra cui la cucina stellata degli chef Sang Keun Oh e Andrea Ribaldone, quest’ultimo italiano di Cuneo. Prendiamo il largo alla volta di Copenhagen. Da qui, di lì a poco, miss Vega – reginetta di eleganza – si sposterà in Norvegia per partire da Tromsø alla volta delle segrete isole Svalbard. Il miglior Nord Europa, per intenderci. È la prima di una lunga serie di “spedizioni culturali”, declinazione up level delle classiche crociere.
A bordo, tra un sorso di champagne e uno di Bloody Mary, incontriamo il padrone di casa: Andrea Zito, ceo di Swan, la cui moglie Patrizia è stata madrina del varo di Vega. Intenso, appassionato, ingegnere navale. Uomo di mare ma soprattutto di mondo. Lo intervistiamo per farci raccontare la sua “impresa”. Quella che da Trieste, passando da Genova fino al Principato di Monaco, dove risiede, lo ha portato nel 2019 ad acquisire «con alcuni amici» – in primis il Gruppo Pola Maritime – lo storico brand Swan Hellenic.
«Sono 30 anni che faccio questo mestiere e finora ho gestito la bellezza di 250 navi. Rilevare Swan Hellenic è stata l’ennesima pazzia condivisa con i miei amici soci. Da sempre mi occupo di crociere, in particolare “expedition”, filone nato a fine anni 90 con rimorchiatori, pescherecci e rompighiaccio rivisitati, poi elevato al rango di viaggio di lusso con il pioniere Ponant. Se le navi da crociera sono nella loro adolescenza, queste sono nell’infanzia. E nonostante non ci siano molte navi nuove, è un’industria in sviluppo. Ho visto un’opportunità e ho voluto tentare l’impresa. Dopo soli tre mesi dal closing, però, è arrivata la pandemia. Ma fortunatamente non avevamo navi in mare e, per questo, per noi, la situazione è stata gestibile. Dopo 26 mesi, con il battesimo di Minerva a dicembre 2021, avevamo la prima nave in mare nonostante il Covid. Poi è arrivata la guerra che ha di nuovo bloccato tutto».
Quali sono stati gli effetti del conflitto russo-ucraino sul settore?
«Soffriamo di un handicap perché l’Artico, dove erano previste alcune delle nostre spedizioni, è per il 70% russo e dunque è off limits. Qualcuno ci dice “perché, al posto dell’Artico, non andate nelle Aleutine (arcipelago dell’Alaska soprannominato “la culla delle tempeste”, ndr)?”. Non è possibile, ce lo vieta la legge Usa per cui, se parti da un porto americano, non puoi tornare negli Stati Uniti senza toccarne uno straniero. E gli unici porti esteri che non distino 50 giorni di navigazione sono off limits. Ma non mi lamento, ci sono effetti più perniciosi della guerra».
Possiamo definire le vostre crociere di lusso?
«No, non amiamo la parola lusso, perché può avere delle connotazioni negative. Le nostre, appunto, sono expedition. Si tratta di luxury cruise nel senso più autentico del termine: rispetto ad altre compagnie che prediligono l’avventura, noi privilegiamo sempre l’aspetto culturale ed educativo. Un elemento che ci contraddistingue anche in navigazione: non vale solo quando ci troviamo nell’Artico e nell’Antartico, vale anche nel mezzo: non possiamo dematerializzare la nave teletrasportandola da una parte all’altra, dobbiamo percorrere un tragitto».
Cosa può aspettarsi un viaggiatore a bordo?
«Questa nave (la Sh Vega, appunto) è estroflessa, ha enormi spazi aperti con vetrate, è costruita in modo asimmetrico, ma al tempo stesso e simmetrico. Un’architettura tale da adattarsi a luoghi come l’Antartica, dove ogni mezz’ora c’è qualche ”sorpresa” come un banco di orche che salta e il comandante dice “Gruppo di orche a destra” e il passeggero deve avere riferimenti chiari per orientarsi. Poi ci sono quei “pocket of warm” fatti apposta per chi vuole stare all’esterno: perché la meraviglia è fuori, non dentro. Ho visto cose impensabili con persone che mangiano in piscina mentre imperversano vento, pioggia e neve. Poi abbiamo scelto architetti la cui idea di arredo sia piacevole, ma non intrusiva, ovvero che non disturbi la vista e che non distragga da quello che è il vero scopo dell’expedition».
Chi è il vostro cliente-tipo?
«È una persona che può permettersi di spendere dai 500 ai 1.000 euro al giorno a persona, che è un appassionato viaggiatore e che non è necessariamente un erudito, ma è un viaggiatore che vuole arricchirsi culturalmente e cerca esperienze, fermo restando che le emozioni non le puoi comprare. La nazionalità è trasversale – con gli americani in testa e i tedeschi che hanno superato gli inglesi – e lo sta diventando anche l’età anagrafica: per una serie di ragioni capita che anche i più giovani abbiano accesso a esperienze di questo tipo. Io quando avevo 40 non me le sarei mai potuto permettere, ma ora c’è chi può, specialmente in America con le sue aziende hi tech gestite proprio da giovani».
E il mercato italiano?
«È molto piccolo. Di nicchia, direi. Ed è un mercato che ha una concezione della crociera distorta, sinonimo di prodotto di massa. Forse non è stato fatto abbastanza marketing per questo segmento. Se i francesi vanno su Ponant, i tedeschi scelgono Hapag-Lloyd, gli inglesi hanno l’imbarazzo della scelta. L’italiano, invece, finora non ha avuto un prodotto dedicato: non esiste ancora una compagnia di crociere che fa lusso».
Ora, però, sta arrivando Msc con Explora Journeys…
«Già. È un mercato estremamente interessante. Comunque va detto che le navi devono essere piccole. In certi luoghi non puoi andare con imbarcazioni grosse perché gli attracchi sono limitati. In Antartica, ad esempio, ci sono solo 15 siti dove possono accedere navi sopra i 200 passeggeri e comunque massimo 200 persone a volta. Le navi sotto i 100 passeggeri possono andare in 90 siti».
Sh Vega ha le dimensioni giuste.
«Sì, è vero. Noi ospitiamo 152 passeggeri, ma con un po’ d’immaginazione sbarchiamo 100 persone alla volta; le altre 20/30 fanno lo Zodiac Tour. Per cui nessuno aspetta: tutti, appena giunti a destinazione, nel giro di mezz’ora sono in attività».
Il fatto di non avere personale italiano è un limite?
«Non credo. Quello che è più importante è avere personale parlante italiano nella parte divulgativa: il naturalista, per intenderci. È meglio che l’ornitologo illustri i volatili nella lingua del passeggero piuttosto che in inglese. Non crede?».
La nuova Swan Hellenic sbarca così sul mercato italiano, andandosi a prendere la sua preziosa nicchia. A curare sales e marketing ci pensa il senior vice president Alfredo Spadon. A bordo di Sh Vega, per il suo battesimo, c’è anche lui. «L’Italia – dichiara – ha una grossissima potenzialità, ma c’è bisogno di agenzie specializzate e di un enorme investimento: il prodotto deve essere spiegato molto bene perché, per gli italiani, l’idea di crociera è quella di massa. E anche nell’ambito delle expedition il nostro è un prodotto con un’immagine nuova».
Tra gli accordi già stipulati quello con Gattinoni e con tour operator come Gioco Viaggi, Giver, Kel 12, Viaggi dell’Elefante.