Cronaca di una morte annunciata per i t.o. lungo raggio
Due parole: “Stiamo morendo”. È l’oggetto dell’email diffusa in queste ore da un gruppo di tour operator specializzati sul lungo raggio. Un centinaio di imprese, di piccole e medie dimensioni, che hanno nel dna terre lontane come l’Africa e l’Oriente, letteralmente annientate dal Covid.
Un gruppo nato spontaneamente, tra WhatsApp e Meet, slegato dalle sigle associative e unite nel “mal comune” di aver sempre operato sull’extra Schengen, senza spiragli di ripresa e con la spada di Damocle dei voucher in scadenza. Tra i principali promotori c’è Emanuela Paoletti di Insafari. L’idea iniziale era quella di lanciare un grido di dolore – “Stiamo morendo”, appunto – acquistando una pagina sui quotidiani. Concetto che ora arriva ai desk dei giornale attraverso un comunicato stampa, da cui trapela tutta la disperazione di questa fetta di industria turistica.
“Ormai è chiaro – si legge – I viaggi per turismo verso destinazioni extra Ue non verranno aperti nell’immediato. Se tutto va bene, se ne riparlerà in autunno, ma la sensazione è che si vada avanti fino alla fine dell’anno, vista l’incidenza della variante Delta che incute timore e getta un’ulteriore ombra sul settore».
«Il turismo è ripartito?», è la domanda. «No, non è vero», la risposta. Perché sono ripartite, semmai, «le prenotazioni su Airbnb o Booking che pagano le tasse all’estero e non in Italia. Sicuramente alcune strutture ricettive italiane, i ristoranti o i locali all’aperto sono tornati a lavorare e molti di loro sono sold out per l’estate, ma questo non significa che il turismo si sia ripreso – spiega Alessandro Simonetti, titolare di World Explorer – Il comparto turistico riprenderà seriamente a fatturare quando torneranno i viaggi organizzati e intermediati. Sono 16 mesi, dall’11 marzo 2020 precisamente, che non lavoriamo e non facciamo una pratica. Ed è bene spiegarla chiaramente questa cosa».
Da qui il chiarimento necessario. «Chi sta andando alle Maldive, in Messico o ai Caraibi lo sta facendo contravvenendo alle disposizioni ministeriali, rischiando di proprio e assolutamente fuori dalla normativa attuale. I viaggi consentiti sono solo quelli realizzati in ambito Ue, verso gli Stati parte dell’accordo di Schengen, Regno Unito e Irlanda del Nord, poi, ancora, Andorra e Principato di Monaco e Israele. A questi, uniamo un numero di Paesi di Fascia D: Ruanda, Repubblica di Corea, Giappone, Singapore, Thailandia Canada, Stati Uniti d’America Australia, Nuova Zelanda, fermo restando che gran parte di questi sono tuttora chiusi ai flussi turistici, vedi Australia o Usa», spiegano i t.o.
Chi parte per turismo verso mete lungo raggio, aggiungono, «lo fa eludendo la legge, contando sulle maglie molto larghe e spesso inesistenti dei controlli aeroportuali». Rischi che gli operatori non possono e non vogliono prendersi.
«Stiamo rifiutando pratiche importanti proprio per attenerci alle disposizioni che vengono dal ministero della Salute e dell’Interno, ma adesso siamo arrivati alla fine», dichiara Simonetti.
La richiesta è che il governo italiano si allinei agli altri Paesi europei in materia di viaggi fuori Ue. Anche perché, sottolinea Emanuela Paoletti, «permanendo il divieto di uscire per turismo dall’Europa, i nostri clienti difficilmente potranno utilizzare i voucher entro la data di scadenza, pertanto entro pochi mesi dovremo iniziare a rimborsarli, pur senza avere ricevuto risarcimenti dai fornitori locali». Con la catastrofe economica che ne conseguirà.
Da Paoletti la precisazione che «è da più di un anno che non percepiamo uno stipendio e abbiamo dovuto tenere a casa gli staff. Non possiamo continuare così».
Quello che, dunque, implora questo gruppo di t.o. – con una richiesta che non si discosta molto da quelle espresse da Astoi – è che, in assenza (come appare ormai probabile) di riaperture, «vengano stanziati per il settore nuovi fondi a sostegno della categoria, affinché possa continuare a vivere», senza dimenticare che «in tanti non hanno ancora ricevuto i fondi relativi al febbraio-luglio 2020».