Cosa hanno in comune i taxi volanti (Uber li lancerà nel 2020 a Dubai e Dallas), l’identity check in mobile (MasterCard, che lo sta testando in Sudafrica, assicura che basterà farsi un selfie per effettuare la transazione), Amazon Pay (nel travel ha iniziato a collaborare con Vueling ed Europ Assistance) e Google (l’azienda sta abbassando i tempi di caricamento della landing page fino a 3 secondi)? «Sono tutti fenomeni che ci indicano come siamo arrivati alla quarta rivoluzione industriale». Parola di Marco Benincasa, regional director Italy, Francia & Iberia di Sabre, che come ogni anno con il suo Travel Technology Exchange prova ad anticipare le tendenza della travel industry del prossimo futuro.
«Per governare il cambiamento, bisogna prima capirlo», assicura il manager. E per farlo, il primo passo è conoscere i propri clienti. Soprattutto in un’epoca in cui termini come big data e customer experience sono sulla bocca di tutti.
«Il mondo digitale e quello reale devono andare di pari passo – sottolinea Olaf Slater director international strategy & Innovation di Sabre Hospitality – la tecnologia necessaria esiste già ed è la realtà virtuale, l’unica che consente un’esperienza personalizzata e su misura».
Il problema semmai, quando si parla di ospitalità, è che il mondo dell’accomodation tradizionale è ancora indietro, soprattutto se paragonato a quanto fatto da Airbnb. «Da parte nostra stiamo investendo per soddisfare le diverse tipologie di clienti, ciascuna con un sentimento diverso rispetto alla tecnologia, attraverso strumenti come l’open pricing, il checkout express, i servizi ancillari e le promozioni mirate», gli fa eco Graziano Cavallo, marketing communications & ecommerce director di Nh Hotel Group.
Obiettivo: diventare parte della vita dei clienti, proprio come fa Airbnb, che ha trasformato già il momento della prenotazione in un’esperienza di viaggio. Ma il passo ulteriore, per un’azienda che vive di travel, è mettere in piedi una vera e propria strategia di customer experience management.
«Chi lo sa fare, ha risultati migliori anche dal punto di vista economico e finanziario», assicura Cristina Ziliani, direttrice dell’Osservatorio fedeltà dell’Università di Parma. «Siamo passati da un modo di fare fedeltà basato sui programmi di fidelizzazione e sul crm, a quello attuale dove cui la loyalty si fa attraverso i servizi e le esperienze». Come? Raccogliendo le «briciole» che il cliente lascia nei diversi touchpoint, sempre ammesso e non concesso che poi si sappia analizzarli veramente, questi dati. Attenzione però, perché un problema ulteriore per le aziende, è quello di «gestire tutti i touchpoint in modo integrato e collegato. Magari anche con alleanze strategiche».