Mario Draghi lascia la poltrona di premier e la politica italiana si sgretola sotto il peso, stavolta, dei disinteressi. Più che degli interessi. Alcuni tra i ministri e sottosegretari – in teoria in carica fino alla elezioni fissate per il 25 settembre – «hanno già le dimissioni in tasca», raccontano a L’Agenzia di Viaggi Magazine fonti vicine al governo. Nonostante l’appello alla responsabilità del Quirinale e l’ampliamento dei poteri dell’esecutivo-ponte, che andrà oltre gli “affari correnti”. In questo schema il Piano nazionale di ripresa e resilienza «andrà avanti, la struttura Italia Domani è già in piedi e ha orecchie ovunque, molti obiettivi sono stati già raggiunti», ci spiegano. In concreto, guardando al turismo, «al Digital Hub ci penserà l’Enit, il progetto Caput Mundi per Roma è già stato messo a terra, i fondi per il settore con lei rispettive linee di investimento in un modo o nell’altro procederanno», rassicurano dal Palazzo.
Niente a che vedere con il catastrofismo di chi come Enrico Letta (Pd), mercoledì sera al Tg1, parlava di «italiani sgomenti» di fronte ai «19 miliardi del Pnrr che non arriveranno e alle riforme che non si faranno».
Proprio nel giorno del voto di fiducia, che ha visto anche la Lega di traverso al governo Draghi, il ministero del Turismo – retto dal verde Massimo Garavaglia – aveva fatto sapere di aver convocato il cosiddetto “Comitatone”, ovvero il Comitato permanente di promozione del Turismo per condividere le linee di intervento del nuovo Piano Strategico del settore e convogliare le energie sulla prima Conferenza Programmatica sul Turismo, schedulata a ottobre, ma che a questo punto rischia di saltare.
«La voglia di fare e di programmare c’è», commentano ancora fonti vicine al ministro. Ne prendiamo atto. E nel frattempo tastiamo il polso della nostra industria turistica, scossa da quest’ultimo terremoto.
Partiamo da sud, da quella Puglia destinataria – insieme alle regioni limitrofe – dei cospicui fondi del Pnrr per il meridione. Per Giuseppe Pagliara, amministratore delegato del Gruppo Nicolaus, è un risveglio amaro: «La caduta di Draghi è stata tra i miei primi pensieri stamane – racconta – E il Pnrr non c’entra. Le azioni previste dal recovery plan rientrano negli affari correnti e saranno portate avanti. Se così non fosse, dovremmo chiamare criminali coloro che hanno provocato questa crisi. Una cosa invece è certa, sull’Italia si è di nuovo abbattuto il più grande dei mali: l’instabilità».
Un clima di tensione che ha due effetti diretti: «Il primo è l’incertezza psicologica, che impatterà le vendite, già frenate in queste settimane dall’ultima ondata di Covid. Per intenderci – sintetizza Pagliara – chi non sa, nel dubbio, tende a risparmiare». E dunque a viaggiare meno o peggio.
Seconda ripercussione, quella sui mercati. «Aumenterà lo spread con conseguenze sulla Borsa; si alzeranno i tassi d’interesse, l’inflazione continuerà a galoppare e ci saranno ulteriori rincari», prevede l’imprenditore, mentre a Francoforte, la Banca centrale europea annuncia il primo aumento del costo del denaro in più di un decennio. Al centro dell’appuntamento della Bce, poi, il rialzo dei tassi e i dettagli dello scudo anti-spread.
Ma c’è un altro aspetto che riguarda il turismo e va considerato: la lentezza atavica del nostro Paese, aggravata da questa nuova impasse. Per la presidente di Fiavet, Ivana Jelinic, i «rallentamenti saranno inevitabili. Tanto più che, si sa, in Italia non brilliamo di celerità». Entrare in campagna elettorale, ora, vuol dire «sì, esprimere democrazia, ma anche relegare le istituzioni all’amministrazione ordinaria. Immagino si paralizzerà tutto: in primis le attese riforme, su cui siamo cronicamente in ritardo. La macchina sarà al 10% delle sue potenzialità».
In più, supposto che Garavaglia resti in carica fino al voto, sono incerte le sorti del ministero del Turismo in sé: «Il suo attuale ripristino non è garanzia di futuro. Il nostro dicastero non è considerato un pilastro dell’esecutivo e il governo che verrà avrà varie opzioni: confermarlo, rafforzarlo o, al peggio, riaccorparlo come un tempo. In tal senso la fantasia si spreca».
Nel frattempo, il tessuto imprenditoriale – come ben sintetizza Jelinic – è «abituato a farsi un bel segno della croce e a tirare la carretta. Fiavet ha 60 anni di storia e non è nata sull’onda di un appetito. Io, nel mio mandato, sono sopravvissuta a quattro ministri e questo scenario non mi turba più del necessario. Certo, la strada ora è ancora più in salita».
Tra chi più di tutti aveva lavorato a ricucire, dopo che erano stati scuciti, i rapporti con le istituzioni c’è Pier Ezhaya, il presidente Astoi, lottatore che, insieme alle altre sigle di filiera, era riuscito a ottenere in pandemia l’apertura dei corridoi turistici. Oggi, neanche per lui, è un buongiorno. «Dopo 2 anni di Covid, sei mesi di guerra e il caos aeroporti, non ne avevamo certamente bisogno. Ora bisogna prepararsi a riaprire il dialogo con il governo che verrà e con il ministro che ci sarà, sempre che sia riconfermato un dicastero dedicato».
Anche secondo Ezhaya «l’instabilità non è una buona compagna di viaggio» e l’impatto sull’economia si rifletterà sul turismo. «La caduta del governo Draghi – chiude il presidente dei tour operator – peggiorerà la situazione economica interna, insieme alla nostra credibilità internazionale, ma siamo un Paese fatto così: spesso facciamo prevalere piccoli interessi di quartiere sul bene nazionale».
Tra i dossier più caldi rimasti aperti, e che interessano il turismo, c’è Ita Airways. Anche qui sembra assistere a un film già visto, con i diecimila stop and go vissuti da Alitalia. Le cronache recenti narrano di un rush finale, per cui il governo aveva avviato trattative in esclusiva con Msc e Lufthansa per la cessione della quota di maggioranza del vettore. Cosa accadrà adesso è una tra le tante incognite di questa ennesima pagina nera della nostra Repubblica.