by Andrea Lovelock | 23 Dicembre 2021 11:23
Quasi 21 miliardi di euro in venti mesi è la perdita di fatturato nell’arco temporale dell’emergenza Covid che il settore del turismo organizzato ha subìto senza poter contare su un adeguato piano di sostegni. In una nota di Bankitalia, redatta dalla ricercatrice Cristina Demma, si legge testualmente che “la crisi pandemica si è riflessa in un deterioramento delle condizioni occupazionali del settore e in una contrazione del fatturato delle imprese turistiche più marcati rispetto agli altri comparti; ne è derivata una forte domanda di risorse finanziarie e un aumento dei finanziamenti più accentuato rispetto alle altre imprese. A differenza degli altri settori, la crescita dei prestiti ha interessato anche le imprese che, alla vigilia della pandemia, erano caratterizzate da condizioni di bilancio meno solide”.
Ed in effetti se tra il 2010 e il 2019 il numero di occupati del settore turistico era cresciuto al ritmo del +2,2% come media annuale, a fronte di un calo nella media del terziario (-0,4) e in misura più intensa rispetto al totale dell’economia (0,4), tra il 2020 e il 2021 si sono purtroppo create tutte le premesse di un tracollo degli addetti al comparto che potrebbero passare dagli attuali 86mila a meno di 45mila.
IL DRAMMA DELL’OCCUPAZIONE
Un dimezzamento traumatico che significherebbe soprattutto il più grave impoverimento di professionalità e knowledge tra tutti i settori produttivi del Paese, col rischio di fare del nostro mercato una terra di conquista per holding e Ota estere. Basti pensare – come si evidenza nella nota di Bankitalia – che solo la componente “a termine”, ovvero la categoria di addetti più vulnerabile, nel 2021 ha subìto un crollo del 31%. Mentre l’impatto sull’occupazione permanente è stato mitigato dal blocco dei licenziamenti e dal ricorso alla cassa integrazione guadagni. Nessuno osa pensare a cosa potrebbe accadere se le imprese dovessero navigare a vista senza Cig a ridosso della prossima stagione.
A rendere ancor più drammatica l’attuale situazione è la considerazione che il settore, poco prima dello scoppio della pandemia, veniva da un ritrovato benessere finanziario, come la stessa nota di Bankitalia rileva. Dal 2015 al 2019 c’era stata infatti una forte crescita nei ricavi, bilanci più che positivi, e un netto miglioramento della liquidità. La battuta d’arresto del Covid ha, di fatto, azzerato questi vantaggi, riportando indietro di almeno 10 anni lo stato economico-finanziario dell’intera filiera. Un enorme passo indietro. Da qui l’indispensabile ricorso al credito, al perdurare delle moratorie, ai ristori (ancora insufficienti, ndr) per sopravvivere.
LA DINAMICA DEL CREDITO
La pandemia – annota la ricercatrice di Bankitalia nella sua nota – ha inciso significativamente sulla dinamica del credito che, sulla base dei dati della Centrale dei rischi, a livello nazionale è aumentato del +13,5% nel comparto turistico. “La forte domanda di fondi, alimentata sia dal maggiore fabbisogno di liquidità dovuto al calo dei fatturati sia, in connessione con l’accresciuta incertezza sulle prospettive economiche, da finalità precauzionali, è stata soddisfatta dall’aumento del credito”.
In particolare, la dinamica dei prestiti è stata sospinta dall’ampio ricorso delle imprese dei diversi settori alle misure pubbliche a sostegno della liquidità tra cui la moratoria sui debiti bancari per le micro, piccole e medie imprese, introdotta dal dl 18/2020 (decreto cura Italia) e il rafforzamento del sistema delle garanzie pubbliche, previsto dal dl 23/2020 (decreto Liquidità).
A tali misure si sono aggiunte le moratorie private, stabilite da accordi e protocolli di intesa fra le banche e le controparti interessate. Alla fine del 2020 il 79,4% delle imprese del comparto turistico censite in AnaCredit utilizzava almeno una delle due misure a livello nazionale. Analogamente alle altre aziende, l’adesione alle moratorie da parte delle imprese turistiche è stata molta diffusa sin dalla loro introduzione: alla fine di giugno ne aveva già beneficiato oltre il 45% delle aziende.
Sul versante dei prestiti il quadro è ugualmente critico poiché Bankitalia rileva come le imprese turistiche entrate nella fascia di prestiti a rischio-credito, siano passate dal 13% di tre anni fa al 33% di quest’anno, dieci punti superiore alle imprese di altri settori produttivi. A conti fatti il 2022 si apre col grosso punto interrogativo che pesa come un macigno riguardo la sostenibilità finanziaria di migliaia di imprese turistiche.
IL RUOLO DEL GOVERNO
A questo punto, come evitare un ecatombe imprenditoriale e come accompagnare le imprese del settore a un pieno rilancio, è un dovere primario del governo italiano, oltreché una necessità per salvaguardare la gestione del patrimonio-turismo che non può e non deve finire in altre mani che non siano quelle italiane.
In tempi non sospetti, molti personaggi dei sindacati d’impresa ricordavano i molteplici salvataggi messi in atto dai vari governi italiani nei confronti di Alitalia, con la legittima motivazione di tutelare le famiglie dei 19-20mila dipendenti della compagnia aerea. Con la stessa determinazione Palazzo Chigi dovrà approntare un piano di salvaguardia per un intero settore che conta almeno 90mila addetti e le loro famiglie. Si tratta di equità e giustizia sociale, oltreché di un atto dovuto per l’enorme introito economico che questo comparto produce per il sistema-Paese.
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