by Roberta Rianna | 10 Ottobre 2022 8:48
Secondo giro di giostra per Pier Ezhaya, il top manager Alpitour rieletto presidente Astoi[1] per il mandato 2022-2025. Una sfida raccolta con responsabilità e obiettivi chiari: guidare i soci verso il futuro, penetrare i palazzi, ma anche compiere la missione (im)possibile di spingere le associazioni a coalizzarsi in una casa unica del turismo. Con il preciso intento di parlare, più che gridare, con una voce sola.
Il suo primo mandato è coinciso con il momento più duro dell’industria turistica. Si rimprovera qualcosa?
«Sono soddisfatto dei risultati: potevano essere migliori, ma anche peggiori. Tra contributi a fondo perduto, cassa integrazione e decontribuzione non possiamo non dire che gli aiuti siano stati importanti. C’è stata un po’ di sperequazione tra chi fatturava in intermediazione e chi in produzione e questo purtroppo ha penalizzato molte agenzie; abbiamo provato in tutti i modi a trovare soluzioni fiscali, ma non è stato possibile. Sono anche soddisfatto della visibilità sui media che ha avuto l’associazione. Mi rimprovero, invece, di non essere riuscito nel mio intento di coagulare le realtà associative in una federazione unica, ma serviva la collaborazione di tutti. Poi mi rimprovero di aver perso ogni tanto la pazienza con la politica, non mi sono ancora abituato a quei tempi di reazione e invece lo devi fare, perché sei tu che ti devi adattare: il “viceversa” non esiste».
Con che stato d’animo affronta il nuovo incarico?
«Con il solito senso di responsabilità che deriva dalla fiducia manifestatami dai soci che mi hanno fortemente voluto a capo dell’associazione per il secondo mandato; ma anche con il peso morale di rappresentare tante aziende serie, alcune anche molto importanti dimensionalmente. Continuerò con l’impegno di sintetizzare il parere della maggioranza dei soci, quand’anche fosse diverso dal mio, perché è questo che devi fare quando sei il presidente di una associazione; ne sei il rappresentante, mai il capo. È una differenza sottile, ma profonda».
Quali sono le priorità e i progetti dell’associazione per i prossimi anni?
«Sicuramente completare la piattaforma Adv Overview[2] che diventerà la base anagrafica degli associati Astoi; poi finalizzare l’Osservatorio Astoi per mettere a fattor comune i volumi dei soci e quindi dedurre trend e tendenze. Tra i miei progetti c’è anche quello di lavorare sulla formazione degli associati, perché un’associazione deve anche aiutare gli iscritti a evolvere attraverso benchmarking e formazione, appunto. Poi bisognerà continuare a dialogare a livello istituzionale e insistere sull’unità associativa attraverso una logica federativa; non ci siamo riusciti finora, ma ciò non significa che non sia possibile. Infine, partecipare attivamente al Pst, il Piano Strategico per il Turismo, dando il nostro contributo, visto che il mestiere un po’ lo conosciamo».
Intanto, l’estate della ripresa è archiviata. Una corsa a ostacoli, immagino. Come l’ha vissuta e cosa ha visto dal suo osservatorio?
«È stata un’estate difficile per questioni operative, ma finalmente tonica: l’attendevamo da tempo. Per me che ho rappresentato la crisi dell’associazione in tante sedi, vedere i soci ripartire e macinare fatturati è stato davvero motivante. Lo dico sinceramente. Qualcuno fatica a credere sia così, ma invece è davvero ciò che penso: quando assumi una guida associativa così importante devi tifare per tutto il comparto. È come quando da giocatore di una squadra di club passi in nazionale; non guardi se il tuo compagno gioca in un’altra squadra, in quel momento devi lottare per un interesse più alto, nel nostro caso per il comparto».
Sul fronte Paesi, chi sale e chi scende?
«Egitto, Maldive, Repubblica Dominicana, Italia, Indonesia e Usa senz’altro su. Grecia e Spagna in linea con il 2019, quindi bene. Cuba e Messico un po’ più in difficoltà. Poi ci sono i paesi ancora chiusi e semichiusi, ma quello è un altro tema. Sono ripartiti, poi, crociere e viaggi studio e questo è molto positivo».
Quali sono le prossime grandi sfide del tour operating?
«Nel breve sicuramente l’inflazione, ma nel medio-lungo periodo fronteggiare i grandi cambiamenti tecnologici. La partita si giocherà soprattutto lì. E poi adattare la propria offerta ai bisogni delle nuove generazioni. Occorre prepararsi a quello che verrà, non basta sapere quello che c’è: bisogna studiare, studiare, studiare. Un tempo le ricerche di mercato servivano per migliorare la quota di mercato e crescere; oggi servono per sopravvivere. Da qui il mio intento di aumentare la formazione in associazione».
Caro energia e inflazione influenzano i prezzi. Sarà un inverno carissimo? È ipotizzabile una sorta di supplemento energia?
«Io, a differenza di altri, non amo abbaiare alla luna lamentandomi del caro prezzi. Purtroppo c’è e non si può fare molto. Le compagnie aeree, non solo hanno dovuto sopportare l’aumento dei costi del carburante, ma anche del rafforzamento del dollaro; e poi sono aumentati i costi di gestione, da quelli aeroportuali a manutenzione e catering. La stessa cosa è capitata agli alberghi che hanno ricevuto schiaffi tremendi sui costi di energia e approvvigionamento. Quindi io, su questo, canto un po’ fuori dal coro: vedo il problema, ma non urlo a prescindere solo per raccogliere consensi. Comunque sia, sarà un inverno molto caro, sì, con punte anche del 15% sopra il 2019. Ma il supplemento energia deve rientrare nel pacchetto di vendita “chiavi in mano” e deve stare nella metà campo dei produttori. Intendo dire che i rischi di decidere i parametri con cui fai i prezzi devono risiedere nelle disponibilità dei tour operator. Certo, questo richiede di attuare politiche finanziarie di hedging, che non è affatto banale».
Si è chiusa l’era Draghi. I vari decreti Aiuti le sono sembrati sufficienti? Che richieste farete al nuovo governo?
«Come abbiamo ribadito più volte, siamo soddisfatti degli aiuti avuti per il 2020, ma quelli stanziati a copertura delle perdite 2021, che non sono ancora arrivati materialmente nelle casse delle imprese, riteniamo che non siano affatto adeguati. L’aver mandato in cavalleria il 2021, anno in cui il comparto ha registrato il -81% di fatturato, è stato uno degli sfregi più profondi inflitti al comparto. Se per decreto tieni chiuse le destinazioni devi ristorare chi opera in quel settore. Punto. Non c’è discussione. Riguardo al nuovo governo, in attesa che venga formato, spero solo che non si debba ricominciare daccapo come nel film “Il giorno della marmotta”. Aspettiamo che si insedi, poi lo incontreremo e parleremo di richieste».
L’esecutivo uscente ha elogiato il tessuto produttivo italiano come robusto e dinamico. L’industria turistica lo è altrettanto?
«Intanto bisogna comprendere se sia veramente un’industria e soprattutto se il governo che verrà la intenderà così. Per ora, se posso essere franco, nessun governo ha compreso che questa è un’industria; lo dico perché non ho visto politiche industriali a supporto del settore e, purtroppo, per la maggior parte dei politici il turismo si associa all’ombrellone e al weekend. Eppure, con l’indotto, vale il 13% del Pil. Basterebbe guardare cosa hanno fatto Spagna e Francia negli anni ‘70 e ‘80. A volte copiare non è una vergogna. Sembra paradossale, ma il fatto che siamo il Paese più bello del mondo è quasi un limite per fare il salto di qualità perché si pensa, erroneamente, che i turisti qui ci vengano a prescindere. Ma anche questo sta cambiando. Tra un po’ di tempo, se non ci attrezzeremo, perderemo quote di mercato anche sull’incoming».
C’è qualche Paese all’estero che, nel turismo, ha fatto meglio di noi e da cui trarre esempio?
«Ne cito uno: la Spagna. Davvero vogliamo pensare che il fatto che in Spagna ci siano moltissime catene alberghiere di livello mondiale sia figlio solo della capacità imprenditoriale degli albergatori maiorchini? Certo, quello è il prerequisito, ma le politiche di defiscalizzazione attuate dai governi negli anni ‘70 e ‘80 hanno aiutato la crescita di chi voleva investire nel turismo e di chi assumeva personale. Oggi tutti guardano all’Arabia Saudita; hanno deciso di portare il turismo dal 3 al 10% del Pil nel 2030 e ci riusciranno. Indubbiamente hanno altri mezzi, ma noi ci fermiamo ancora prima: alla visione strategica a lungo termine. Fa rabbia onestamente».
Molti vedono in lei un buon politico. Ha mai pensato a candidarsi?
«Per carità! Non ho queste ambizioni e nel dna rimango un manager perché amo vedere il rapporto azione-risultato e mi piace essere determinante. Nella politica giochi un altro tipo di partita e penso che anche le migliori intenzioni alla fine finiscano per essere risucchiate dagli aspiratori della burocrazia e della lentezza».
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