E a piovere sono ora le domande, legittime e incalzanti, di chi dovrebbe metter mano al portafogli e viene assalito da dubbi e cattivi pensieri.
Perché questa corsa affannosa, da parte delle associazioni di categoria, ad annunciare la costituzione di un proprio fondo a prescindere da una scadenza spartiacque? C’è forse voglia di usare i fondi come formidabile strumento di proselitismo e raccogliere nuovi iscritti? Come possono essere efficaci questi fondi? Chi c’è dietro e chi li gestisce? Con quale logica ci si dovrebbe affidare a un consorzio piuttosto che a un broker o a una cooperativa? E quali garanzie si possono avere rispetto a una malaugurata emergenza di rimpatri forzati di turisti-clienti dall’altro capo del mondo?
E perché il Mibact tace o meglio si limita a prendere atto della nascita di questo o quel fondo, quando dovrebbe esserci da tempo un decreto attuativo che non è ancora arrivato? Quali sanzioni si rischiano?
Tante, troppe domande che giungono anche nelle redazioni della stampa specializzata, da parte soprattutto di piccole e medie imprese di viaggi che non sanno a chi dare retta. Diciamo subito che proprio la stampa trade si è trovata a dar spazio a tutti gli annunci e che ora ha il dovere di accendere i riflettori su ognuna di queste operazioni, non fosse altro per prendere le distanze da pericolosi “giochi di sponda”. Anche il giornalismo specializzato ha l’obbligo professionale di prendere le distanze da proclami e cercare di capire per spiegare ai suoi lettori cosa può succedere e cosa non deve accadere.
Frammentazione del settore
Al momento ci sono solo alcune disarmanti certezze, raccolte proprio andando a curiosare per cercare di capire: innanzitutto la legge europea da dove scaturisce l’obbligo del fondo di garanzia privato delle imprese, con l’entrata in vigore della legge 115/2015 che ha modificato l’art.51 del Codice Turismo. Ebbene non tutti sanno che quella dell’Unione Europea è una legge informativa, il che significa che – visti gli elefantiaci tempi di recepimento della nostra legislazione, c’erano tutti i presupposti per chiedere un diverso approccio all’adozione dei dettami europei, magari facendo sì che la filiera turistica si presentasse compatta e decisa ai tavoli che contano.
Ma ancora una volta l’ordine sparso, con cui si è palesata al Mibact, ha reso tutto più facile ai referenti del nostro governo che hanno dettato tempi e aut aut procedurali, di cui nemmeno gli stessi funzionari del ministero sanno esattamente le dinamiche. Non esistono né un decreto attuativo, né un regime sanzionatorio e non c’è a conti fatti un quadro normativo certo.
Di sicuro ci sono oggi sei o addirittura sette fondi di garanzia o soluzioni assicurative che proprio per numero e consistenza rischiano di essere incapienti. In una parola nessuno dei titolari di consorzi, scarl, coop, o altre forme societarie è in grado di dare certezze sulla sostenibilità del loro progetto. E quel che è peggio, tutti stanno prendendo tempo.
Anomalia italiana
Astoi, secondo attendibili voci vicine alla associazione, non ha ancora completato la raccolta delle quote tra i t.o. associati; Fiavet dovrà garantire un alto numero di adesioni tra le adv iscritte; FTO (che viene tacciata da molti come una federazione senza statuto e senza riconoscimento ufficiale di Confcommercio) ha dichiarato un suo primo “tetto” da 500mila euro che arriverà presto a 5 milioni; l’Aiav rassicura il comparto con una formula coop che giuridicamente implica responsabilità collettive di un certo peso.
E allora ci si chiede: perché l’ennesima anomalia italiana di fronte a una problematica che in Germania e Francia è stata risolta da tempo con una univoca formula in grado di tutelare sia le imprese che i consumatori?
A queste domande, infine, se ne devono aggiungere altre ancora più impegnative e davvero allarmanti: se si dovesse provvedere al rimpatrio forzato di 100, 200, 500 turisti italiani per il fallimento di una impresa, quali tra questi novelli fondi di garanzia privati sarebbe davvero in grado di fronteggiare l’emergenza?
Qualcuno insinua sospetti che dietro questo bailamme di fondi privati e geniali soluzioni assicurative ci sia una manovra molto subdola di ripulire il mercato, ridimensionare il numero di agenzie di viaggi, magari dimezzandole a favore di pochi gruppi. Oppure una semplice e molto italiana operazione finanziaria. Fantapolitica di settore? Può darsi, ma allora se questi sospetti sono sdegnosamente respinti dai diretti interessati, dovrebbe essere doveroso per tutti fare la cosa più semplice: rispondere con trasparenza a tutte, ma proprio tutte le domande che arrivano dalle agenzie di viaggi.
In fondo son loro che devono pagare (in tutti i sensi).