Oltre 207 milioni di presenze turistiche straniere perse tra marzo 2020 e giugno 2021, con la riduzione del 31,5% nel valore aggiunto turistico e un -39% nella spesa turistica interna. La ripartenza del turismo italiano sarà un percorso a ostacoli e in salita, almeno fino al 2024. Di questo non hanno dubbi analisti e associazioni di categoria che hanno partecipato al forum promosso da Fondazione Nord-Est.
A partire da Daniela De Francesco, ricercatrice della direzione generale Istat, che ha specificato come «nel primo anno di pandemia l’impatto sul turismo si può tradurre in alcune cifre significative su un campione di ben 3.500 imprese del settore: nel novembre 2020 il 79% ha dichiarato forti perdite di fatturato, addirittura il 38% ha denunciato l’azzeramento del fatturato. E tra le misure adottate nel secondo semestre dello scorso anno quasi il 60% delle imprese ha fatto ricorso alle ferie obbligatorie, alla cassa integrazione, mentre un buon 20% ha rinviato assunzioni e ridotto i propri collaboratori, o addirittura riduzione del personale a tempo indeterminato. Dall’inizio del 2021, poi, il 45% delle imprese ha dichiarato seri problemi di liquidità e una azienda su due prevede per quest’anno rischi operativi. E tra le strategie che un quarto delle imprese ha già intrapreso e intende portare avanti anche nel 2021 e 2022 figurano riduzione del personale, nuovi canali di vendita, diversificazione delle attività e investimenti su nuovi servizi e beni».
Da un’altra ricercatrice specializzata come Valeria Minghetti del Ciset è arrivato un primo consuntivo della stagione estiva 2021, che per taluni segmenti del nostro turismo è stato al di sopra delle aspettative: «Grazie all’impulso delle vaccinazioni e l’introduzione del green pass, si è prodotto un vero e proprio boom a luglio, agosto e un buon settembre. Boccate d’ossigeno, secondo l’Unwto dovremmo tornare ai livelli del 2019 non prima del 2024 e quindi dobbiamo gestire al meglio un biennio interlocutorio. Ma ovviamente ci sono tendenze differenziate tra il leisure e il business. Se il primo segmento ha ripreso, il secondo comparto è ancora in forte sofferenza. E se si considera che anche il settore del trasporto aereo si è allineato alle previsioni dell’Unwto circa una piena ripartenza solo dal 2024, si comprende come la strada della ripartenza turistica è molto lunga».
«Sul fronte dei consumi turistici – ha poi evidenziato Minghetti – teniamo presente che per molti italiani c’è stato un risparmio forzato per non aver effettuato vacanze nel 2020 che possono riprendere a spendere sia quest’anno che il prossimo, ma c’è anche il rovescio della medaglia di consumatori italiani che hanno dimezzato le loro entrate o addirittura perso il posto di lavoro e hanno ora ben altre priorità. Nella distribuzione turistica gli analisti prevedono che le prenotazioni dirette continueranno a crescere molto, come è successo proprio questa estate e dunque per il 2022 le imprese coinvolte in questo ambito dovranno escogitare altre strategie per recuperare clientela».
Tanti distinguo anche nell’hôtellerie, settore di punta del nostro turismo, come spiegato da Barbara Casillo, direttore generale Confindustria Alberghi: «C’è da ricordare che nel periodo pre-pandemico, e quindi nel 2019, l’hôtellerie italiana aveva certificato il sorpasso degli ospiti stranieri rispetto agli italiani. Questo vuol dire che per quanto sia stato soddisfacente il riempimento delle strutture ricettive in agosto, si è comunque avuta una quasi totale defezione di ospiti stranieri, specialmente in talune realtà dell’Offerta italiana, quali le città d’arte. Molti bacini di mercati long haul sono ancora chiusi, vedi ad esempio il Giappone. Quindi ci manca ancora una parte enorme di presenze e manca in particolare il segmento altospendente. Ci sono elementi confortanti in prospettiva: il leisure europeo potrà riprendersi già nel 2022, mentre i bacini long haul saranno ancora molto contratti. Mentre per il turismo business, anche sul domestico, prima del 2024 non si riesce a immaginare un ritorno consistente e questo è un aspetto preoccupante».
Circa poi un nuovo approccio delle imprese sul versante della digitalizzazione Antonio Barreca, direttore generale Federturismo, ha osservato che: «Alcune aziende medio-grandi avevano già pensato a innovarsi ed hanno investito; ora, grazie al Pnrr, altre aziende potranno iniziare a farlo per rimanere ben presenti sul mercato».
Un comparto che ha sofferto molto per una chiusura quasi totale dal marzo 2020 ad oggi e che deve poter contare su una stagione piena, è quello delle stazioni montane: «Solo il 25% delle nostre imprese – ha sottolineato Valeria Ghezzi, presidente di Anef – ha ripreso a lavorare durante questa stagione estiva, ma con un recupero di introiti che non ha superato il 10%, molto poco per parlare davvero di ripresa. D’altra parte l’estate non ha mai dato sufficienti entrate per poter reggere un intero anno operativo. Fortunatamente non abbiamo più l’indifferenza del governo, ma restano comunque i rischi stagionali, perché le nostre imprese opereranno con un forte condizionamento per motivi sanitari. Vorrei ricordare che riaprire una stazione sciistica non è un semplice pigiare interruttori, ma coinvolge tante risorse umane nella preparazione di piste e impegna economicamente. Ad oggi, poi, non possiamo sapere se gran parte della clientela straniera, che rappresenta oltre il 50% della clientela di tutti i comprensori alpini, tornerà in massa. Di sicuro non ci aspettiamo una stagione facile: gruppi e tour operator sono fermi come lo scorso anno e questo preoccupa non poco perché non abbiamo certezze economiche in tal senso».
Antonello de Medici, delegato di Confindustria Veneto e presidente Ebit Veneto, ha concluso la tavola rotonda soffermandosi su una constatazione: «Finalmente il governo e i politici hanno cominciato a capire che il turismo nel suo insieme è un’impresa che non fa magazzino, e se non si può programmare non si lavora, se non possiamo negoziare contratti con tour operator e agenzie, difficilmente si può presidiare i mercati. E sui modelli di impresa da adottare, abbiamo necessità di lavorare con più brand strutturati, con standard di prodotto e di servizi che possa assicurare le vendite. E infine per digitalizzare il turismo bisogna conoscerlo: purtroppo in taluni settori stiamo ancora all’alfabetizzazione del digitale, vedi gli skipass che solo ora sono acquistati soprattutto online. E poi l’uso dell’intelligenza artificiale per il marketing online, per creare community di utenti che traggono origine dall’esperenzialità. Occorre investire sul prodotto-servizio e sul capitale umano».