Francesco Rutelli: «Airbnb? Una risorsa da difendere»
È l’unico ex sindaco europeo chiamato a partecipare ai meeting di Airbnb in qualità di consulente. Un attestato di stima per Francesco Rutelli, che pur avendo un curriculum di tutto rispetto nel travel, grazie ai due mandati come sindaco di Roma prima, e ai due anni come ministro dei Beni culturali con delega al Turismo dopo, può vantare un interesse da parte della piattaforma alla portata di pochi. E su tasse, sharing economy e marketing territoriale le idee ce le ha ben chiare.
Cosa ne pensa della cedolare secca sugli affitti brevi?
«Sono favorevole. Del resto, è una normativa che nasce da una delle ultime mie proposte di legge approvate, molto apprezzata da proprietari di abitazioni e inquilini. Occorrono trasparenza e meccanismi semplici di certificazione, il che è aiutato da piattaforme, come Airbnb, che operano esclusivamente online. Non penso invece sia sensato trasformare una piattaforma in un sostituto d’imposta nel giro di poche settimane. Il governo dovrà concordare con tutti gli operatori modalità attuative efficienti, partendo dai principi di tracciabilità e della corretta riscossione delle imposte dovute».
Cosa ci racconta della sua esperienza come consulente di Airbnb?
«L’esperienza è molto interessante. Finora ho partecipato a riunioni a San Francisco, Philadelphia e Londra, e i due aspetti più positivi sono stati il dialogo strategico sul turismo, destinato a diventare la prima industria del mondo, con cambiamenti di preferenze e comportamenti del pubblico, ed enormi trasformazioni organizzative e competitive. Secondo: l’età dei partecipanti. Tra ingegneri, esperti di public policy, manager, l’età media è attorno ai trent’anni. Quindi, ho qualcosa da insegnare, ma anche molto da capire e imparare. Quanto ai sindaci, è un gruppo di riflessione strategica, non di lobby, che non è il nostro mestiere, per dialogare con l’azienda globale di Silicon Valley che io considero la più “sociale”, oltre che innovativa. La gran parte dei profitti che produce resta in tasca agli host, ovvero a chi affitta la casa o una sua parte. Offre un’esperienza particolare, diversa, non solo ai giovani, in migliaia di città del mondo. E su questa piattaforma sarà possibile far transitare nuovi servizi diffusi, decentrati, di cui potranno beneficiare soprattutto le classi medie oggi in difficoltà».
Quindi per lei l’extraricettivo, fortemente condannato da Federalberghi, è una risorsa…
«È chiaro. Prenda una persona come me, in molti casi vado negli alberghi; e così centinaia di milioni di persone nel mondo. Ma questo non esaurisce assolutamente una domanda che cresce, e che cambia. Non è un caso se, venti anni fa a Roma, la mia Giunta aveva anticipato il fenomeno Airbnb, in vista del Giubileo del Duemila. Di fronte a una richiesta di massa (avremmo avuto circa 70 milioni di presenze), ristrutturammo gli hotel, anche con incentivi pubblici; incoraggiammo le case per ferie degli istituti religiosi, per i pellegrini; e demmo alle famiglie romane la possibilità di ospitare una famiglia di visitatori a casa propria. Non c’era il web, e dunque l’idea non decollò. Ma l’intenzione era sacrosanta, e opporsi a una diversificazione dell’offerta a fronte di una domanda che cambia non ha senso, tanto più oggi. Tutti i comparti debbono e possono migliorare: solo dall’Estremo Oriente si mettono in moto 800-900 milioni di potenziali turisti da ora in avanti. È demenziale non puntare a industrializzare, migliorandola, l’intera offerta. E le responsabilità spettano a tutti, a partire dagli operatori privati».
Aumentare i flussi turistici in una città come Roma ha davvero senso? Non è forse più necessario aumentare la qualità del servizio offerto? Qual è il modello cui la Capitale deve rifarsi: Barcellona (qualità) o Venezia (quantità)?
«I problemi sono internazionali: non solo Venezia, che è un’isola dove vivono 40mila persone e vogliono andare ogni anno 40 milioni di turisti; anche Barcellona soffre di un eccesso di turismo di massa, specialmente quello portato dai grandi operatori mordi e fuggi. Il punto riguarda la dimensione delle destinazioni e l’organizzazione delle industrie turistiche. Mi spiego: San Gimignano, con poche centinaia di metri da percorrere a piedi tra le splendide torri medievali, è già satura, e deve regolare i flussi se non vuole – come non vuole – diventare una Disneyland senz’anima. Roma è grande 130mila ettari, contempla meravigliose destinazioni (anche extra Gra, quali Ostia Antica nel Comune di Roma, o Tivoli, o il Parco di Veio). Dunque, si tratta di governare i flussi in termini di mobilità, accessibilità, di offrire mostre, visite, eventi. Nella Città Eterna ci sono non alcune, ma centinaia di destinazioni di grande, o incommensurabile valore. Ovviamente, va accresciuta anche la qualità dell’offerta, stroncati gli abusivismi, migliorato decisamente il decoro. Non lo dica a me, però, che come sindaco e ministro ho aperto e ristrutturato una trentina di musei e gallerie nella Capitale. Non solo sono convinto che sia necessario aumentare la qualità dei servizi offerti: abbiamo dimostrato che si può fare».
Lei oggi è alla guida dell’Anica. Parliamo, allora, di cineturismo. Si può fare di più?
«Certamente. Con la mia Amministrazione, a Roma, avevamo lanciato le prime visite guidate nei luoghi del cinema; e quelle nei set e nei luoghi – tuttora mitici – di Cinecittà. Si può migliorare. Prenda solo il quartiere Eur, dove si spera decolli la Nuvola, ovvero una grande e moderna struttura del turismo congressuale (che ho avviato, ma ha impiegato 16 anni per essere inaugurata): è un quartiere-icona per decine di film che vi sono stati girati e restano nell’immaginario italiano e internazionale. Si potrebbero poi realizzare da parte delle produzioni, assieme a operatori turistici, visite selezionate a pagamento sui set contemporanei, soprattutto nella stagione estiva e nelle aree centrali».