by Serena Martucci | 17 Ottobre 2017 14:15
Il silenzio. Quello che colpisce nelle strade affollatissime di Tokyo è il silenzio. Nonostante i suoi dodici milioni di abitanti, la metropoli giapponese ti rapisce per quel suo “non rumore”, ma ti riempie gli occhi e gli altri sensi con i vagoni stracolmi della metro dove viaggiano stipati i salary man, rigorosamente in camicia bianca e pantalone nero, e dove chiacchierare al cellulare è vietato, con i suoi giardini e le aiuole perfettamente curate, i suoi magnifici templi buddisti e scintoisti avvolti dall’odore di incenso, i mercati street food dove si mangia a tutte le ore e le mille luci e disegni stile manga utilizzati spesso come cartelloni pubblicitari. Luci, odori, colori interrotti solo da musichette da cartoon. È solo una delle mille contraddizioni del Giappone, Paese magico e affascinante.
Tokyo, l’antica Edo, è uno dei suoi simboli con i grattacieli dalle altezze che tolgono il fiato, il quartiere storico di Asakusa, dove il tempo sembra si sia fermato a più di cento anni fa, il mercato del pesce di Tsukiji, il più grande del mondo, dove in minuscoli locali in legno è possibile mangiare sushi freschissimo ed assaggiare ostriche giganti a pochi yen. E ancora il quartiere che non dorme mai di Shinjuku, con la stazione ferroviaria più grande del mondo, la trasgressiva zona a luci rosse di Kabuki-cho, zeppa di love hotel e host club, e il Golden Gai, angolo con stradine strette e bar con pochi posti a sedere e clientela affezionata. E poi l’incrocio pazzesco di Shibuya, dove ogni giorno oltre 2.500 persone attraversano le strisce pedonali in cinque direzioni diverse senza mai scontrarsi e dove c’è la statua di bronzo del famoso cane Hachiko, che per dieci anni alle 17 in punto continuò a venire a prendere il suo padrone nonostante lui fosse morto.
La fedeltà, il rispetto delle regole, l’attenzione per la collettività è qualcosa che la cultura nipponica inculca nei suoi abitanti fin dai banchi di scuola. Persino troppo. E così si lavora ben oltre l’orario stabilito, il successo è inseguito e rispettato, la pressione sociale una cosa seria, tanto che non è raro vedere gli stessi impiegati con ventiquattore ubriacarsi subito dopo essere usciti dall’ufficio o i facoltosi businessman trascorrere una serata nei community cafè, locali dove per 20 euro è possibile chiacchierare piacevolmente con una ragazza colta per venti minuti. Solo per il gusto di parlare con qualcuno.
Per capire almeno in parte il Giappone bisogna percorrere quella che chiamano la Golden Route, itinerario d’obbligo per chi visita il Paese per la prima volta. Dalla megalopoli di Tokyo si arriva a Kyoto, l’antica capitale, a bordo dello Shinkansen, il “treno proiettile” che raggiunge i 300 km orari e collega le due città in sole due ore e mezza. Nel tragitto vale la pena fare una sosta a Hakone, villaggio ai piedi dell’imponente Monte Fuji, affacciato sul lago Ashi, dove ogni giorno è possibile salpare per una crociera a bordo di vascelli costruiti seguendo il modello delle navi del Settecento. Hakone è nota soprattutto per gli onsen, sorgenti termali, molte delle quali affacciate sul lago, dove ci si rilassa sorseggiando una tazza di tè verde in mezzo alla natura.
Tetti bassi, legno di frassino scuro, sapori di altri tempi. Kyoto è un tuffo nel passato, nonostante l’avveniristica stazione che accoglie chi arriva in treno e l’enorme palazzo dove vendono prodotti di ultima tecnologia a due passi da lì. Basta arrivare nei quartieri di Pontocho e Gion per immergersi in un’atmosfera da samurai e geishe. Passeggiare a Pontocho, una strada di 600 metri con locali in stile giapponese e numerose ochaya (le case da tè), è un’esperienza unica soprattutto verso sera quando le lanterne rosse segnalano i locali ancora aperti, mentre per sperare di incrociare in strada una maiko o una geisha il quartiere giusto è quello di Gion, zeppo di ristorantini e ryokan, i tradizionali alberghi giapponesi dove si dorme sui futon sui pavimenti in tatami.
L’antica Capitale del Giappone vanta, poi, bellissimi santuari come la Pagoda d’Oro del tempio buddista Kinkakuji, Patrimonio dell’Unesco, e il tempio zen Ryoanji (del Dragone Pacifico). Qui vale la pena abbandonare la macchina fotografica e sedersi ad ammirare in pace il meraviglioso giardino secco, fatto solo di pietre di ghiaia e 15 rocce disposte in un rettangolo di 200 metri quadrati: facendo attenzione a un particolare, non è possibile contemplare le 15 rocce simultaneamente, ma solo 14. Per una full immersion nella natura vale la pena fare un salto anche nella zona di Arashiyama e passeggiare senza meta nell’incantata foresta di bambù. Per rendere il tutto più caratteristico, a Kyoto molti negozi permettono di affittare il kimono per un’intera giornata e girare in città con tanto di acconciatura, ombrellino e sandali in legno.
Ultima tappa dell’itinerario d’oro è Osaka, la capitale della gastronomia. La città è in continuo fermento, con numerosi grattacieli tra i quali spicca l’Umeda Sky Building, con l’originale struttura a ponte che collega le due torri gemelle. Per provare, però, i mille sapori della cucina giapponese l’indirizzo giusto è l’area di Dotonbori, una strada lungo il canale costellata di ristoranti con insegne al neon e statue in cartapesta giganti e meccanizzate, dove è possibile provare il vero kuidaore, ovvero come rovinare se stessi con la stravaganza del cibo. Rigorosamente in punta di bacchetta.
Dormire low cost nel capsule hotel
Altro che meta costosa. Il Giappone offre servizi e alloggi per tutte le tasche. Tra le soluzioni più economiche, ci sono i capsule hotel, alberghi con micro-stanze dove tecnologia e design si concentrano in pochi metri quadri. Nati a Osaka nel 1979, hanno una reception che ti accoglie con una borsa con pigiama, pantofole, asciugamani, kit per lavarsi i denti e una scheda. L’ospite, oltre al letto in capsula, ha un armadietto dove riporre la valigia, bagni e doccia in comune e una sala lounge dove mangiare, bere o semplicemente fare due chiacchiere. Costo: 23 euro. Ottimo per uno “stop & go”.
Come distinguere la maiko dalla geisha
Maiko o geisha? Non è facile distinguerle. La prima è un’apprendista, di solito di 15 anni che deve imparare danza, canto e a intrattenere i clienti nelle sale da thè. Il percorso non è facile. Le maiko indossano kimono colorati e l’acconciatura con i loro capelli, mentre le geishe usano kimono più sobri e una parrucca. Inoltre il colletto interno delle maiko è rosso e mai bianco. Entrambe colorano il viso di bianco, perché alle candele sembra più bello. Per scoprirne l’età bisogna guardare la nuca: quanto più è profonda la “v”, tanto più saranno gli anni trascorsi.
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