Ormai metabolizzata con senso di responsabilità la chiusura degli impianti sciistici per il periodo natalizio, gli operatori della neve chiedono chiarezza ora al governo per l’apertura della stagione invernale dopo le feste. Lo ha detto senza mezzi termini Valeria Ghezzi, presidente Anef – Associazione nazionale esercenti funiviari, convocata mercoledì nella sede della stampa estera per illustrare la situazione a poche ore dal mini lockdown natalizio.
«Innanzitutto è bene chiarire che noi operatori della neve non stavamo chiedendo di aprire domani mattina con 600 morti al giorno, come tanti dicono in questi giorni. Però la nostra attività, per le caratteristiche intrinseche degli impianti, non si apre girando una chiave e necessita di programmazione. Se ci dicono di aprire il 15 gennaio – ha sottolineato Ghezzi – dobbiamo saperlo almeno un mese prima per avviare la parte tecnica. Abbiamo capito che non si apre a Natale, ma abbiamo bisogno di una data certa per aprire a gennaio o di una certezza sulla non apertura, per evitare di affrontare a vuoto ulteriori spese».
Altro aspetto critico sollevato dagli operatori dei comprensori sciistici è quello del coordinamento con gli altri Paesi, che rischia di creare ulteriori danni all’economia montana italiana.
«Siamo in contatto con gli altri Paesi Ue attraverso la Fianet, la nostra associazione europea – ha spiegato Ghezzi – e i problemi sono gli stessi per tutti in ogni Stato: la sopravvivenza delle comunità, il lavoro e gli stagionali. Ora, ad esempio, l’apertura eventuale degli impianti in Svizzera, non coordinata, ci creerebbe un danno importante. Rischieremmo che il 35-40% di chi sarebbe venuto da noi si sposti all’estero, con il grosso rischio di non tornare in Italia l’anno prossimo. Va detto che la Svizzera tiene aperti gli impianti perché li considera trasporto pubblico di persone, equiparandolo al trasporto cittadino, un ragionamento che a mio parere è corretto. D’altra parte, in tanti sono d’accordo nel dire che il problema non è lo sci ma tutto il contesto. Certo, in Svizzera non c’è neanche una limitazione alla mobilità, se questa fosse confermata in Italia anche la riapertura non avrebbe senso, perché, ad esempio, come si può pensare che in Valle d’Aosta vadano a sciare solo gli abitanti della regione, in cui oltre il 30% sono lavoratori del settore? Anzi, il rischio ulteriore e più grave è che i lavoratori abbandonino le comunità montane per cercare lavoro altrove, spopolando questi luoghi».
Valeria Ghezzi ha ribadito, ancora una volta, i numeri che rendono questo comparto così importante per l’economia del nostro Paese e di alcune regioni in particolare. «Il nostro settore fattura 1,2 miliardi all’anno, di cui 400 milioni arrivano dal periodo natalizio. Abbiamo 15mila dipendenti, di cui 5mila a tempo indeterminato e 10mila stagionali. Per i primi ci può essere la cassa integrazione, per i secondi non c’è alcuna tutela. Con l’indotto si arriva a un fatturato di 11 miliardi, con oltre 120mila dipendenti e la percentuale di stagionali aumenta fino all’80%. Parliamo di famiglie intere che lavorano nel settore e rischiano di restare senza reddito. Purtroppo – ha concluso la presidentessa – a livello centrale manca una conoscenza dell’economia della montagna, che invece le Regioni hanno mostrato di comprendere e le ringrazio per l’aiuto che ci stanno dando».
MISURE ANTI COVID IN QUOTA. Ghezzi ha poi ricordato quali sono le misure già individuate per poter riaprire gli impianti in sicurezza. «Si è investito sulla tecnologia per l’implementazione della vendita online, che permette di eliminare le code alle casse per gli skipass, che nel 95% dei casi si usano hands-free; avremo personale per gestire il distanziamento nelle code, ma gli sciatori sono già molto coperti, quindi in condizione di maggior sicurezza; per le cabine chiuse avevamo proposto il riempimento all’80%, ci è stato chiesto di non superare il 50%. Su questo punto va chiarito un aspetto: il riempimento della cabina è inversamente proporzionale alla coda esterna. Lasciamo al Cts la scelta su quale sia l’equilibrio migliore, ma ricordiamo che in cabina i finestrini sono aperti, si è completamente coperti e il viaggio dura tra i 5 e gli 8 minuti, un tempo inferiore a quello di permanenza in autobus, spesso con finestrini chiusi. Per le seggiovie, invece, è consentito l’utilizzo a pieno carico, essendo all’aperto e con sedute in parallelo. Altre misure riguardano il contingentamento degli accessi alla ski area, facilmente organizzabile in quelle piccole. In quelle con più accessi stiamo aspettando un confronto con il Cts per capire cosa fare. Certo, non si può prescindere da un atteggiamento responsabile da parte degli sciatori».