Dal 28 novembre il piccolo aeroporto di Nuuk in Groenlandia avrà una nuova pista adatta all’atterraggio dei voli internazionali e intercontinentali. In questo modo anche la grande isola ghiacciata all’estremo nord dell’Oceano Atlantico diventerà facilmente raggiungibile e potrebbe, tra non molto, finire nell’elenco dei Paesi presi d’assalto dai turisti, vista la sua bellezza.
Finora la Groenlandia con la sua piccola città-capitale Nuuk era difficilmente accessibile. Terra adatta ad accogliere solo i veri viaggiatori disposti ad arrivarci dopo un lungo viaggio via mare, oppure in aereo facendo scalo in Islanda, in Danimarca o passando da Kangerlussuaq, un’ex base militare americana dotata dell’unica pista sufficientemente lunga per accogliere voli internazionali.
Dalla fine del mese sarà invece collegata praticamente con il mondo intero. United Airlines ha già annunciato il lancio di un servizio bisettimanale tra Newark, New Jersey e Nuuk a partire dal 14 giugno, diventando così l’unico vettore a volare direttamente tra gli Stati Uniti e la Groenlandia con un collegamento non stop, che porterà l’americano medio tra ghiacciai, balene e aurore boreali in poco più di quattro ore.
Bello? Sì, no, forse, perché la domanda che sorge spontanea è: Nuuk, questa piccola città tra i fiordi con 20mila abitanti e solo 15 ristoranti e soprannominata la “Venezia della Groenlandia” per le sue case colorate, è pronta ad affrontare un’invasione di curiosi in cerca di avventura e di selfie senza che tutto questa metta in pericolo le sue fragili infrastrutture e il delicato ecosistema?
«Arriveranno così tanti turisti che non ci saranno abbastanza posti per accoglierli», prevede Gideon Lyberth, sindaco di Maniitsoq, cittadina a nord della capitale.
È chiaro che per l’economia della zona la prossima ondata di visitatori rappresenta una grande occasione. Già nel 2023 il turismo, ancora fortemente limitato dai collegamenti, ha fruttato circa 278 milioni di dollari, contribuendo per quasi il 10% al prodotto interno lordo, ma per sostenere la crescita della domanda, Nuuk dovrà incrementare la disponibilità di ogni tipo di servizio. A cominciare dalle camere d’albergo, e questo vuol dire costruire più edifici e più infrastrutture che inevitabilmente andranno ad impattare non solo sul paesaggio, ma anche sull’ecosistema.
La sfida più difficile però sarà, per la popolazione locale e il governo, trovare un equilibrio tra la necessità di preservare la natura incontaminata dell’isola e i suoi modi di vita unici, e la creazione di un mondo a misura di turista e delle sue necessità.
Proprio il governo sta già valutando leggi per proteggere la fauna selvatica e garantire che sia i locali che i visitatori traggano beneficio dal boom turistico. Tra queste una proposta che richiederebbe a tutti gli operatori turistici di essere al 50% locali e di applicare una piccola tassa sul turismo per notte, il cui ricavato andrebbe a sostenere il futuro sviluppo del comparto e le protezioni naturali.
E non è solo l’affollamento a preoccupare molti abitanti. Anche il cambiamento climatico sta modificando il volto del turismo artico. «Sci, escursioni e crociere sono direttamente influenzati dalla riduzione della calotta glaciale, che limita l’accesso a certi luoghi – sottolinea Emmanuel Salim, docente di geografia all’Università di Tolosa – Oggi, sviluppare una destinazione come questa significa considerare l’immagine e la realtà di un futuro paesaggio post-Artico, in cui montagne innevate, orsi polari e distese di ghiaccio, simboli di queste terre, potrebbero non esistere più».
Nel frattempo, mentre si discute sugli effetti dalla nuova pista, un’altra è già in costruzione a Ilulissat, a nord di Nuuk e sarà inaugurata nel 2026 e un terzo scalo è previsto a Qaqortoq, nel sud dell’isola.