Hnh Hospitality, l’ad Luca Boccato: «Primi segnali di ripresa»
«Il lavoro è di certo cambiato ma non diminuito in queste settimane». A parlare è Luca Boccato, amministratore delegato di Hnh Hospitality, brand di operatori alberghieri indipendenti che gestisce 15 strutture a 4 e 5 stelle tra nord e centro Italia. «Ci sono state fasi diverse: siamo passati da una fase di comprensione, a quella di elaborazione e poi di messa in sicurezza di tutto – spiega – Adesso timidamente cominciamo a ragionare sulle riaperture, a gettare le basi. È un anno tremendo, ma è tempo di pensare anche alle opportunità: è entrata la safety car e va pianissimo, però ripartiremo tutti molto vicini».
Boccato ricorda la crisi economica del 2009. «L’ho vissuta nello stesso ruolo e fu un’opportunità per rivedere i processi, ripensare i servizi e la modalità operativa. Ne siamo usciti più efficienti di quando ne siamo entrati. Credo che anche questa crisi vada affrontata in questo modo».
Come inizia la ripresa per il Gruppo Hnh Hospitality?
«Su due fronti: il primo è capire quando ci saranno le condizioni per riaprire. Abbiamo tutti gli alberghi chiusi almeno fino al 3 maggio, ma probabilmente estenderemo. Stiamo cercando di capire se possiamo aprire gli alberghi di città, almeno alcuni, l’11 o il 18 maggio. Per gli alberghi di mare, alcuni hanno un’apertura pianificata per il 21 maggio. Conto di riaprire più e meno tutto tra maggio e giugno. Ora serve una pianificazione commerciale, in termini di prodotto e di prezzo. L’altro fronte è capire che servizio offriremo. Stiamo vivendo un paradosso: oggi lo stato, al di là delle norme generali, non ci impone nessun protocollo sulla riapertura. E invece quando finirà il lockdown le norme ci saranno. Il governo non ha imposto restrizioni prima, perché sapevano che nessuno avrebbe aperto, visto che nessuno si poteva muovere. Adesso invece ci dicono come comportarci, come fare le colazioni, ecc. Siamo a fine aprile e non è chiaro come ci si possa riorganizzare in pochi giorni».
Crede che la categoria sia ben rappresentata?
«Sono critico sia per il governo sia per i sindacati di categoria (Federalberghi e Confindustria, ndr) che hanno dimostrato la loro debolezza in questa fase e sono rimasti totalmente inascoltati. Anche se il nostro settore è stato il più colpito da questa crisi, finora non abbiamo portato a casa nulla. Anche il fatto che non siamo stati obbligati a chiudere ma lo abbiamo fatto per scelta, per assurdo ci mette in una posizione ancora più debole. Ci aspettano due-tre anni molto difficili e il peso politico della categoria in Italia è basso, siamo irrilevanti. Il turismo è il primo settore che è entrato in crisi e in Italia ha perso il 95%. È un comparto che può lavorare solo in sicurezza. Se la fase intermedia è molto lunga il turismo non ripartirà. Ma non veniamo minimamente considerati. Al di là del numero freddo del Pil (pesiamo per 13%) creiamo posti di lavoro, che non sono esportabili, e benessere più che ogni altro settore. Eppure non stiamo facendo nulla per preservare le aziende del turismo. Non c’è stata nessuna corsia preferenziale».
Il 2019 si era chiuso con un utile netto di 1,2 milioni di euro. Come sarà gestito il bilancio 2020?
«Il 2019 è stato un buon anno e avevamo un ottimo budget per il 2020, che prevedeva una crescita dai 36 milioni dell’anno scorso ai 61 di quest’anno. Abbiamo dovuto rifare un budget di emergenza, in modo prudente, e adesso prevediamo di chiudere l’anno non oltre i 30 milioni, cioè con un taglio netto di oltre il 50% del fatturato. I costi fissi sono molto elevati e non riusciamo parallelamente a dimezzarli, ma solo a ridurli di alcuni punti percentuali. Quindi quest’anno siamo condannati a chiudere l’esercizio in perdita. Il gruppo anni fa ha scelto di far entrare nel capitale un socio di minoranza, quindi abbiamo una struttura patrimoniale solida che ci ha permesso di affrontare la situazione attuale con relativa tranquillità. Siamo preoccupati, ci indebiteremo per superare questa fase, ma è una situazione che possiamo gestire».
Quando pensa ripartiranno le prenotazioni?
«Da qualche giorno stiamo vedendo timidi segnali di ripresa, con le prime prenotazioni. Per le destinazioni di mare arriva qualche richiesta per il mese di luglio. È singolare che, pur se credo che quest’anno dovremo fare a meno della clientela straniera, cominciamo ad avere richieste di stranieri, che probabilmente hanno una percezione più positiva della situazione. Penso ai mercati austriaco e tedesco, che sono usciti dalla fase di lockdown e pensano che questo potrà avvenire anche in altri Paesi e si riapriranno le frontiere. Quindi gli stranieri stanno prenotando il mare da luglio, mentre fino al 30 giugno abbiamo solo italiani. Per gli alberghi di città, ci sta chiamando qualche cliente corporate per sapere se siamo aperti. Qualcosa si sta muovendo. È ancora molto poco per giustificare le aperture, ma è pur sempre un primo segnale positivo, a cui credo ne seguiranno altri nelle prossime settimane se si confermerà la discesa della curva di contagio».
Avete già un vostro piano per la sanificazione e la messa in sicurezza delle strutture?
«Stiamo lavorando sulla parte operation, sulla pulizia delle camere e delle zone comuni. Ma ci stiamo anche interrogando su come gestiremo il post riapertura: il passaggio nelle camere da un cliente all’altro, le dotazioni in camera. Il principio base è che nessun virus resiste senza un ospite per più di 72 ore. Quindi nella fase iniziale dovremmo riuscire a garantire un fermo camera di 72 ore. Ridurremo gli elementi nelle camere: per esempio avremo il telecomando sanificato e incellophanato; pensiamo di eliminare i cuscini di arredamento. Sono convinto che strada facendo ci abitueremo alle misure di sicurezza, alle mascherine».
Aprire con una capienza ridotta: il gioco vale la candela?
«Non esistono oggi molte alternative all’idea di perdere soldi e credo che entro un certo limite questa cosa vada accettata. Qualcuno mi ha chiesto come faremo ad aprire a Jesolo con questi livelli di occupazione. Certo che ci perderemo, ma credo sia fondamentale aprire per difendere i due asset importanti che abbiamo: i nostri clienti ma soprattutto i nostri collaboratori. Il ragionamento è che potremmo essere condannati a perdere qualcosa oggi – speriamo poco, temo molto – però lo facciamo per essere presenti e competitivi domani. È una scelta di lungo periodo».
Le due aperture previste nel 2020 a Verona e a Roma restano al momento confermate?
«Abbiamo un’apertura e una riapertura. Roma, con il Double Tree By Hilton Rome Monti, è un’apertura. Doveva avvenire in questi giorni ma è slittata a settembre-ottobre per il momento. Dipende da quando potrà riaprire il cantiere. Non escludiamo possa esserci un ulteriore ritardo ma al momento è confermato. La seconda è una riapertura a Verona, il Grand Hotel Des Arts, che ha già completato i lavori. Apriremo e a giugno faremo il passaggio al nuovo brand Indigo».
Verosimilmente, è il caso di archiviare il 2020 e ragionare già sul 2021?
«Direi di no, non è il caso di archiviare. Finché si può è sempre bene lavorare per migliorare le cose. L’anno in corso è devastante. Ma a ben vedere ci sono delle opportunità e vanno colte. Ne parlavo con il direttore di Almar: dovremmo nei primi mesi concentrarci sul mercato italiano, che per Almar finora ha contato per il 15%. Può essere l’opportunità per incrementarlo, per riaffermarci dove eravamo poco presenti e fare un investimento che potrebbe portare percentuali maggiori di clientela per i prossimi anni. Altra opportunità da cogliere è quella di alberghi appena acquisiti. Penso al Double Tree di Trieste, aperto a dicembre 2019 e chiuso a marzo per il coronavirus. Ripartiremo tutti da zero ed è un’opportunità per riuscire a “rubare” quote di mercato ai competitor».
Giornalista professionista, redattore. Specialista nel settore viaggi ed economia del turismo e delle crociere dopo varie esperienze in redazioni nazionali tv, della carta stampata, del web e nelle relazioni istituzionali
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