by Giorgio Maggi | 8 Giugno 2018 10:37
Dimenticare Airbnb e la sharing economy e aprire un ulteriore fronte di competizione con i giganti dell’hi-tech: Google, Facebook e Amazon. Sembra essere questo il mantra delle grandi catene alberghiere di fronte alle sfide che attendono il settore nei prossimi anni. In parole povere: non basta più arginare il modello della condivisione di case e appartamenti se il bottino è sempre di più quello dei dati dei clienti. Anche perché, dal colosso di San Francisco alle catene globali, tutti ormai hanno adottato un modello misto con piattaforme e portafogli che offrono di tutto: dalla casa al residence, dall’appartamento al boutique hotel.
«Credo che siamo nel mezzo di una guerra per possedere clienti, e aziende come Google stanno senza dubbio cercando di prenderci i nostri», ha detto pochi giorni fa nel corso del quarantesimo Nyu International Hospitality Industry Investment Conference, Arne Sorenson, ceo di Marriott International.
La questione, insomma, è che i player della tecnologia mondiale possiedono un’abilità straordinaria nell’entrare in possesso di informazioni sui clienti. «Dispongono di tutti i data che ci riguardano, anche se non ci conoscono direttamente. Dormono con noi, mangiano con noi, fanno la doccia con noi», ha confermato in quella sede l’ad di Hilton, Christopher Nassetta.
«Per accaparrarsi i clienti gli hotel devono trarre tutti i vantaggi possibili dal contatto diretto con gli ospiti», ha ribadito anche il ceo di AcccorHotels, Sebastien Bazin.
Risultato: se fino a ieri, la battaglia dell’hôtellerie tradizionale era contro Airbnb, adesso il mirino si è spostato. Un po’ perché, in giro per il mondo, sono le stesse istituzioni locali a regolamentare il fenomeno; un po’ perché le partnership tra modelli di business differenti stanno diventando sempre più numerose. L’ultimo esempio è infatti l’accordo siglato tra l’azienda californiana e l’hotel software suite parigina Availpro, acquisita proprio da AccorHotels lo scorso anno.
IL MODELLO MISTO. L’obiettivo, per Airbnb, è quello di aprirsi al mondo dell’ospitalità tradizionale, inserendo nel portafoglio quelle strutture scelte tra le 5.000 di Availpro, che finiranno sotto il filtro dedicato ai boutique hotel. Le location? Parigi e Londra, per cominciare, ma l’intenzione è di allargare l’idea al resto del mondo proprio come si sta facendo grazie all’altra partnership siglata da Airbnb lo scorso febbraio con SiteMinder, piattaforma cloud che può contare su 28mila strutture alberghiere (per la maggior parte piccoli hotel indipendenti) in giro per il mondo.
Ma – in attesa della grande guerra contro Google, Facebook e Amazon – le battaglie odierne delle catene di hotel si rivolgono ancora contro il modello Airbnb.
CASE DI LUSSO ANCHE PER MARRIOT. Dopo che negli ultimi anni AccorHotels ha fatto campagna acquisti tra società specializzate nell’affitto temporaneo di case di alto livello (da Onefinestay a Oasis Collection, passando per Squarebreak e Travel Keys), adesso tocca a Marriott lanciare un servizio di condivisione di case di lusso grazie all’accordo con la startup Hostmaker (società inglese che propone un servizio di gestione degli appartamenti privati di alta qualità con un servizio ai clienti personalizzato e pari a quello di un albergo a cinque stelle). In questo modo, il colosso americano proporrà case di lusso per brevi periodi a Londra, offrendo al contempo la qualità del servizio alberghiero targata Marriott.
All’insegna delle sinergie è anche l’ultima news che proviene dal gruppo Expedia. La Olta ha infatti annunciato di avere inserito nel proprio portfolio altri 25mila tra appartamenti e ville del catalogo della controllata HomeAway, arrivando ad offrire qualcosa come 150mila proposte che prima potevano essere visualizzate solo sul rivale di Airbnb. Ma non è tutto, perché il travaso funzione anche in senso contrario. «HomeAway sta arricchendo il proprio inventario con case in affitto», ha detto pochi giorni fa il portavoce di HomeAway Jordan Hoefar.
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