«Hotel, piccolo non è bello»: intervista a Confindustria Alberghi
Maria Carmela Colaiacovo, presidente Confindustria alberghi, nel suo intervento al primo Hôtellerie Summit di Pambianco, che si è tenuto mercoledì scorso al palazzo della Borsa di Milano, ha parlato degli investimenti stranieri sulle strutture alberghiere italiane e delle difficoltà che le imprese italiane del settore, soprattutto le piccole strutture familiari, hanno affrontato durante il Covid e che ancora adesso mettono a rischio spesso la loro stessa sopravvivenza. È come se l’unica prospettiva possibile sia quella di essere acquisiti da un Grande gruppo o, magari, affiliarsi a una catena.
Ecco come ha chiarito il suo pensiero nell’intervista concessa a L’Agenzia di Viaggi Magazine.
Presidente, lei ha detto una cosa abbastanza forte: “Piccolo non è bello”. Perché?
«Perché nel nostro mondo piccolo a volte non è sostenibile. Quindi non è che non è bello, ma per un’impresa familiare essere troppo piccoli, a volte i numeri non tornano».
Però l’Italia è fatta di imprese medio-piccole e nel turismo si sta sviluppando un po’ in tutto il mondo il concetto di ospitalità a vari livelli: dal 5 stelle all’extra lusso, fino a scendere alla camera del b&b.
«Sì, però anche gli interventi prima e dopo il mio parlavano di un’invasione di bed and breakfast e affitti brevi. Che ovviamente vanno gestiti, perché altrimenti sono come veleno nei pozzi delle nostre città».
In che senso?
«Perché creano dei vuoti nel nostro stile di vita italiano, tagliando fuori gli abitanti dai centri storici. E allo stesso tempo bisogna domandarsi: perché i turisti preferiscono questo tipo di ospitalità all’uno o due stelle? Quindi il mondo sta cambiando, bisogna prenderne atto e trovare soluzioni».
Al summit si è parlato anche di overtourism, una sorta di invasione turistica che toglierebbe identità ai territori, alle città, ai piccoli centri.
«Il problema non è dei piccoli centri, ma delle classiche destinazioni italiane. Se per fare 27 km in Costiera Amalfitana servono tre ore in estate, lei capisce che io il prossimo anno lì in auto non ci andrò più. Quindi bisogna trovare alternative. Lo stesso vale per altre destinazioni. Pensi a Venezia, a Firenze oppure a Roma. È un problema che oggi è stato poco sul tavolo perché veniamo da due anni di pandemia. Veniamo anche da un 2022 nel quale per sei mesi non si è lavorato. Ma se i trend internazionali di flussi in Italia restano alti come ora, questo è un fenomeno che dovrà essere gestito».
I vostri associati sono presenti soprattutto nelle grandi città o comunque nelle destinazioni classiche, quelle che “fanno brand”.
«Non solo. Io sono un’albergatrice indipendente, ho due strutture di famiglia e vengo dall’Umbria, da un piccolissimo grande centro: Gubbio. Abbiamo tanti alberghi indipendenti. Guardi, non è tanto la dimensione che porta ad associarsi a Confindustria alberghi, quanto la visione. Ovvero: la progettualità di un territorio, la volontà di guardare ai cambiamenti, di cogliere le opportunità e crescere».
A proposito di crescita, si è parlato degli stranieri che investono nell’ospitalità italiana: il 60% in strutture a 4-5 stelle.
«Molti investimenti sono nel lusso, sicuramente. Lo abbiamo visto soprattutto nelle grandi destinazioni. Ma abbiamo numeri interessanti anche altrove. Noi da tempo partecipiamoall’International Hotel Investment Forum di Berlino: lì, negli ultimi anni, abbiamo visto un interesse enorme nei confronti dei resort, nell’Italia dei territori».
Ma avere gli stranieri che investono sulle strutture alberghiere italiane è un vantaggio o un rischio?
«Il nostro lavoro maggiore è quello di mettere in collegamento gli imprenditori italiani, i nostri albergatori, grandi o piccoli che siano, con partner finanziari capaci di farli crescere in Italia. Questo è il punto. L’importante è lavorare sulla qualità e perseguire una crescita sostenibile per i nostri albergatori».
Non c’è rischio di perdere le proprietà italiane, finire per essere colonizzati?
«Questo problema c’è sempre. È ovvio. Però dobbiamo anche pensare a quegli investitori e a quelle imprese italiane che vogliono crescere. Se non trovano finanze, non trovano risorse in Italia, dobbiamo aiutarli a trovarle».
Avanzano le prenotazioni dirette. L’intermediazione ha ancora un ruolo?
«Nel lusso sicuramente. Così come nel Mice e in tutto ciò che riguarda i congressi. Ci sono segmenti in cui l’intermediazione è molto importante, dove è necessaria alta professionalità. Penso anche a tutto il segmento del wedding. Per i matrimoni l’organizzazione è complessa: non solo il wedding planner che assiste gli sposi, ma anche la cura dell’evento con la gestione dei flussi, dell’ospitalità, del catering. È un mondo che riguarda tutta la filiera».