Un’estate da ricordare per i tour operator incoming in Italia che lavorano con i mercati intercontinentali, dopo due anni di sostanziale fermo causa Covid, ma il panorama non è tutto “rose e fiori”. Ci sono ancora tanti nodi – vecchi e nuovi – che il settore deve affrontare per mantenere in una posizione competitiva la destinazione Italia.
Ne è convinta Chiara Gigliotti, general manager di Carrani Tours, che nonostante «un anno complicatissimo» celebra comunque un risultato migliore delle aspettative: «Chiuderemo l’anno con il 70% della produzione rispetto al 2019, ma non arriviamo al 100% perché il nostro Paese è penalizzato dalle poche rotte aeree dirette, oltre al problema delle tariffe dei voli cresciute in maniera vertiginosa».
Accanto al problema della connettività aerea, però, ci sono anche intoppi più o meno grandi che rischiano di vanificare gli sforzi di ripresa degli operatori. «Se un biglietto per un volo da Buenos Aires a Roma sfiora i 2mila euro a tratta in classe economica – come sta accadendo in questo periodo – cambia anche il cliente-tipo e le aspettative sono ancora più alte. Ma in questi anni qualcosa è cambiato: in aeroporto ci sono sempre meno taxi disponibili e gli alberghi, nonostante gli sforzi, soffrono la carenza di personale e fanno fatica a offrire la stessa qualità dei servizi rispetto al pre pandemia. Le location e i siti turistici hanno riaperto, ma non hanno la piena disponibilità di slot e orari come in precedenza: questo provoca comunque la persistenza di file e imbuti per gli accessi», ricorda Gigliotti.
A margine di queste problematiche, però, il settore sta registrando un vero record di presenze intercontinentali per settembre e ottobre. «Riguardo i flussi turistici, questo è stato l’anno di Brasile, Messico, Usa e Canada: Paesi che sono rimasti sostanzialmente aperti mentre noi eravamo in lockdown, quindi lì l’economia e il lavoro non si sono fermati. Quando sono stati rimessi i voli, gli aerei si sono riempiti subito. Credo che, in ogni caso, i problemi che attanagliano l’intero settore ce li porteremo per tutto il 2023. La vera ripartenza per livelli di qualità, di offerta e di presenze avverrà nel 2024. Resta l’incognita sulla modalità di prenotazione e di viaggi che vigerà tra due anni».
Modalità che quest’anno sono state imprevedibili, perché se prima un viaggio di 10 giorni in Italia veniva prenotato 3-4 mesi prima, «oggi arrivano richieste per la prossima settimana. Ormai il 60% della gente prenota last minute a 20 giorni anche sull’intercontinentale, e questo influenza molto gli operativi».
Ma cosa accadrà con l’imminente bassa stagione? «Mi auguro che questa esplosione degli arrivi continui. Ma dobbiamo guardare già al prossimo anno e a come migliorare. Il viaggiatore intercontinentale quest’anno ha scelto più la Grecia o la Turchia rispetto a noi: mete più competitive sia per la connettività sia per i prezzi – ricorda la general manager – Anche la nostra marginalità si è ridotta perché i fornitori di servizi terrestri in Italia hanno fatto aumenti anche del 30-40%. In alcuni casi siamo stati noi ad assorbire parte dei costi e questo andrà avanti per tutto l’inverno».
Gigliotti riconosce, però, che «gli albergatori – rispetto ad altri fornitori – sono riusciti a contenere gli aumenti. Per il resto, invece, come lo spieghi al mercato un aumento del 40%, mentre un competitor come la Spagna applica balzelli contenuti del 10-12% e ha una connettività aerea molto più forte?».
Sul tema della carenza di personale, invece, Gigliotti fa un vero e proprio appello al nuovo governo, puntando su decontribuzione e formazione: «Ci vuole la decontribuzione per 2 anni sia lato imprese sia lato dipendenti e bisogna rifinanziare e riattivare gli enti di formazione per il turismo. Solo così il nostro settore può recuperare appeal e offrire risorse umane all’altezza del mercato con retribuzioni attraenti e più in linea con l’economia generale».