Prepararsi meglio alla prossima emergenza, cercando una maggiore uniformità di misure tra i vari Stati dell’Unione europea, sia dal punto di vista digitale, sia rispetto ai tempi di reazione, così da salvaguardare i viaggi e gli spostamenti nell’intero vecchio continente. È il monito lanciato dall’Eca, la Corte dei conti europea, che ha valutato le misure introdotte durante la pandemia promuovendo il certificato digitale Covid dell’Ue (ma bocciando tutte le altre misure) in vista di quella che potrebbe essere una futura crisi o emergenza che rischi di mandare in tilt il sistema dei viaggi.
Solo il cosiddetto green pass, infatti, “è stato efficace nel facilitare gli spostamenti, mentre gli altri strumenti introdotti a livello nazionale e continentale hanno avuto un impatto modesto”, ha dichiarato la Corte, sancendone di contro l’inefficacia economica.
In particolare, l’Eca sostiene come tre strumenti – app per il tracciamento dei contatti, moduli digitali di localizzazione dei passeggeri (Plf) e le conseguenti piattaforme per scambiare e condividere queste informazioni tra i vari Paesi – siano stati quasi fallimentari. La Corte ha poi elogiato la Commissione europea che “si è mossa velocemente per proporre soluzioni tecnologiche adeguate”; anche se poi l’adozione e l’utilizzo dei suddetti strumenti sia stato totalmente “variabile” da Paese a Paese con un impatto “irregolare e difforme” nel facilitare gli spostamenti.
«Durante il biennio 2020-2022 doveva essere prioritario per tutti gli Stati adottare strumenti comuni per coordinare da un lato le restrizioni alla libera circolazione facilitando dall’altro i viaggi – ha detto Baudilio Tome Muguruza, responsabile Eca per la revisione degli strumenti digitali – Purtroppo non tutti gli strumenti sono stati recepiti e attuati in maniera rapida e corretta dagli Stati membri. Il successo del certificato Covid digitale Ue non è stato quindi replicato per tutti gli altri strumenti».
Se Plf e app di tracciamento hanno fallito, in sostanza, è colpa dei singoli Stati che hanno agito in ordine sparso provocando ulteriori danni al settore turistico, già profondamente segnato dalle restrizioni in atto nel biennio 2020-22. Tutto questo è accaduto nonostante Bruxelles abbia investito oltre 71 milioni di euro per produrre software, piattaforme e app.
Il modulo di localizzazione dei passeggeri europeo, per esempio, è arrivato troppo tardi rispetto a quelli prodotti in minor tempo dai singoli Paesi, rileva la Corte. “Alcuni Stati – si legge – non l’hanno adottato nutrendo riserve sul rispetto della privacy e della protezione dei dati”. Solo quattro Paesi hanno utilizzato il modulo di localizzazione digitale Ue, con l’Italia che ha emesso più del 90% di tutti i moduli. La piattaforma di condivisione di tali moduli è stata invece quasi inutilizzata, secondo l’Eca, mentre l’app di tracciamento ha funzionato solo in Germania. “In pratica – conclude la Corte – il certificato digitale Covid Ue è stato l’unico strumento utilizzato in tutti gli Stati membri e anche da 45 Paesi non Ue. Più di 1,7 miliardi di certificati sono stati emessi fino a marzo 2022”.
Sarà, quindi, il modello green pass a fare scuola per le prossime emergenze, pandemie o crisi che inevitabilmente affronteremo in futuro. Ciò che le istituzione sembrano aver appreso dalla lezione del Covid è che solo un approccio unitario, immediato e digitale può evitare il collasso dei trasporti. Ma c’è un ulteriore problema: manca “un quadro normativo comune” che faciliti l’introduzione o la riattivazione tempestiva di uno strumento come il green pass – segnala sempre l’Eca – visto che l’attuale “base giuridica per il certificato digitale Covid scadrà nel giugno 2023”.