by Fabrizio Condò | 14 Marzo 2025 7:00
Dicono che il Kosovo sia per pochi e di pochi: circa 10.000 km2 (le dimensioni dell’Abruzzo), meno di 1.600.000 abitanti (con maggioranza albanese e minoranza serba), Stato a riconoscimento limitato, stipato nelle viscere dei Balcani. Un coacervo di lingue, culture, etnie e religioni diverse, che si scrutano diffidenti da sempre. E che, non di rado, hanno affondato reciprocamente il coltello nelle loro debolezze.
Un nome che non trasuda gloria: in serbo Kosovo Polje rimanda alla “Piana dei merli”, a est della capitale Pristina: il campo della memoria culturale serba-ortodossa, dove nel 1389 il principe Lazar fu sconfitto dagli invasori ottomani. Eppure… Eppure il Kosovo c’è, si vede e si sente, con la sua società che è la più giovane d’Europa.
E la Via Dinarica – una destinazione di turismo sostenibile che si estende in diverse regioni, tra cui Peja, Deçan, Junik e il Parco Nazionale di Bjeshkët e Nemuna – lo attraversa come un’arteria vitale e alimenta quel respiro che spesso la storia ha negato al Paese. Un percorso di 1.200 km che si snoda tra i sentieri di montagna del Kosovo e di altri sei Stati – Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Serbia e Albania – e giudicato uno dei più belli del mondo dal National Geographic.
Allora il Kosovo non è “vorrei ma non posso”, ma “puoi”, eccome. «Assolutamente sì», conferma nel frastuono di Bit Francesco Gradari di Volontari nel mondo Rtm, organizzazione non governativa di Reggio Emilia. «Lavoriamo nei Balcani, in particolare nel Kosovo, dal dopoguerra. Quindi abbiamo seguito lo sviluppo del Paese da quelle fasi turbolente a oggi». Già, perché cinque Stati membri dell’Ue (Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna) e due della regione (Serbia e Bosnia-Erzegovina) non ne riconoscono ancora l’indipendenza.
Ma torniamo alla Via Dinarica nel suo segmento kosovaro di 120 km. «Realizzata grazie al finanziamento dell’Aics, Agenzia italiana per la cooperazione dello sviluppo – spiega Gradari – è il risultato finale del progetto “NaturKosovo”, che punta a valorizzare le risorse naturali, storiche e culturali del Paese, creando nuove opportunità di sviluppo turistico sostenibile».
Da qui passa la via che conduce al “nuovo” Kosovo. «Adesso è un Paese che guarda l’Europa e una delle priorità è proprio quella di promuoverlo all’estero, di incentivare il turismo. Ci siamo inseriti in questa iniziativa assieme ad Aitr, l’Associazione italiana turismo responsabile, al Cai, al soccorso alpino e ad altri partner, valorizzando il tratto kosovaro della via Dinarica, intervenendo sulla sentieristica, sulla sicurezza e sullo sviluppo delle attività delle piccole imprese turistiche».
Quindi, quando si parla del Kosovo e si fa riferimento quasi unicamente al conflitto 98-99 – che coinvolse le forze statunitensi e della Nato contro la Serbia – in realtà non si conosce nulla. «È vero. Si sa poco perché ci si ferma agli stereotipi del passato. Invece c’è una società molto variegata, dove convivono diverse etnie e religioni. Il patrimonio artistico-culturale è di alto livello e le zone di alta montagna, cui fa riferimento il progetto, sono tutte da scoprire».
Un Paese “nuovo” dal punto di vista turistico, ma che ha già dei mercati di riferimento, nota il presidente di Aitr, Maurizio Davolio: «Italia e Nord Europa: c’è grande interesse di tedeschi, scandinavi e polacchi, dove il trekking è molto diffuso». “Le tensioni tra diverse etnie possono costituire un problema per i turisti?”, gli domandiamo. E la risposta non lascia spazio a dubbi: «La Via Dinarica è una zona di pace e sicurezza anche per i normali viaggiatori, con un patrimonio Unesco impreziosito dai monasteri ubicati lungo il percorso. Nessun problema dal punto di vista delle relazioni fra la maggioranza albanese e la minoranza serba: il sistema elettorale garantisce la rappresentanza in Parlamento di tutte le minoranze. Ora l’obiettivo è l’ingresso in Europa».
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