La vendita di Alitalia? Tutto rinviato a dopo il voto del 4 marzo, si diceva fino a qualche settimana fa. Ma adesso che del nuovo governo non si vede nemmeno l’ombra, i tempi per il nuovo assetto dell’ex compagnia di bandiera minacciano di essere ancora più lunghi di quello che, solo pochi giorni fa, aveva indicato il commissario Luigi Gubitosi. «La scadenza (per individuare il compratore, ndr) resta il 30 aprile, poi si vedrà», ha detto il manager al Forum di Cernobbio, aggiungendo però che «le scelte non vengono fatte dai commissari in autonomia, ma vengono determinate dalla volontà del governo in carica, qualunque esso sia al momento della presa di decisione».
Insomma, al di là degli acquirenti di cui si sa l’esistenza (Lufthansa, da una parte; Air France-Klm, Delta Air Lines, easyJet, sostenute dal fondo americano Cerberus, dall’altra), il risultato sembra già scritto. A decidere modi e tempi sarà il nuovo esecutivo, con un’ulteriore, inevitabile, slittamento dell’intera operazione. Anche perché, se anche i commissari riuscissero nell’impresa di individuare un acquirente con tutte le carte in regola, tra approvazione del Mise, trattativa in esclusiva con il suddetto compratore, nullaosta dell’Antitrust europeo, il vero e proprio perfezionamento della cessione non potrebbe che avvenire a ridosso della fine del 2018.
Tutto questo, ovviamente, senza fare i conti con la politica. E con l’ipotesi che, settimana dopo settimana, potrebbe diventare la più probabile: la nazionalizzazione (in tutto o in parte) del vettore, magari attraverso l’intervento di Cassa Depositi e Prestiti. «Nel processo di ristrutturazione di Alitalia al momento Cdp non è coinvolta», ma «se un potenziale acquirente ci chiederà qualche sostegno siamo pronti a parlare a tutti», sottolineava nello scorso gennaio a Davos il presidente di Cdp, Claudio Costamagna. Che è intervenuto di nuovo sulla questione durante la presentazione dei risultati 2017 e l’andamento del piano industriale: «Se in Alitalia una delle due cordate avesse un piano industriale fattibile e soprattutto sostenibile valuteremmo se portarla nel nostro consiglio di amministrazione o meno». Insomma, Cdp sarebbe disponibile a entrare nella partita Alitalia, ma soltanto dopo che sarà concluso il processo di vendita, e soprattutto con una partecipazione «assolutamente di minoranza» e a fronte di«un piano industriale fattibile». Sempre che naturalmente i vertici della Cassa Depositi e Prestiti, nominati dal passato governo, non rientrino in quel cambio di poltrone che il prossimo esecutivo dovrà rinnovare entro la fine di maggio.
Una soluzione, quella di un ritorno di un partner statale, che avrebbe comunque il grosso pregio di mettere d’accordo un po’ tutti: a cominciare dai sindacati – «i buoni risultati che la gestione commissariale sta ottenendo sono la dimostrazione che l’intervento dello Stato, contrariamente a quanto spesso affermato, non è necessariamente un male per le aziende di interesse strategico per il Paese», ha detto pochi giorni fa il coordinatore nazionale della Filt Cgil, Fabrizio Cuscito – e proseguendo con i due principali attori della nuova scena politica, Lega e Movimento 5 Stelle. «Alitalia non va svenduta alle multinazionali o alle società straniere, ma va valorizzata come compagnia di bandiera», diceva in campagna elettorale il segretario della Lega, Matteo Salvini. Fiancheggiato, su questo punto, dal leader dei Cinque Stelle Luigi Di Maio, che a fine dicembre scriveva sul blog del Movimento: «Alitalia non va salvata ma rilanciata. Non è ammissibile che un Paese come il nostro, a forte vocazione turistica, non abbia una propria compagnia di bandiera».
Risultato: tra qualche settimana, il clima favorevole all’entrata in campo di qualche soggetto pubblico potrebbe essere diventato maggioritario. Anche perché, ipotizzare che un governo appena insediato si possa fare carico di qualche migliaio di licenziamenti (da 2mila a 6mila esuberi, sono queste le cifre girate in questi mesi che andrebbero messe in conto se Alitalia dovesse finire nelle mani di un’altro vettore), appare davvero un’ipotesi fantascientifica. A meno che, naturalmente, Bruxelles non decida di mettere pesantemente le mani sull’intera questione. Esattamente ciò che spera Lufthansa, come ha ribadito solo poche settimane fa il ceo del Gruppo tedesco Carsten Spohr: «La nostra posizione non è cambiata. Sono certo che la Commissione europea aumenterà la pressione perché ci sia una soluzione. Non c’è più molto tempo per la ristrutturazione. Il nostro interesse non è sfumato. Ma ci deve essere una ristrutturazione».