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Fuga dei fondi nordeuropei dal capitale Ryanair

Il consumo critico si sposta sul mercato delle linee aeree. Secondo il Financial Times, infatti, sette fondi pensione europei che gestiscono in tutto 300 miliardi hanno deciso di vendere le proprie azioni Ryanair perché in disaccordo con le politiche adottate dalla compagnia nei contratti con i dipendenti.

Insomma i fondi, tra cui ci sarebbero Atp, grande società danese e gli svedesi di Folksam, avrebbero deciso di prendere le distanze, se non boicottare, la low cost. Come sempre diretta la risposta dell’ad Michael O’Leary che ha sottolineato come i fondi siano mali informati perché non ci sono vertenze in atto tra Ryanair e i dipendenti.

Particolarmente motivato il fondo danese Pka, che ha messo l’aerolinea nella black list delle compagnie in cui non investire per motivi etici, non avendo gradito il modo in cui ha gestito alcune controversie sui diritti dei lavoratori sia in Danimarca che in Francia.

Nel 2015 in effetti Ryanair è stata costretta da un tribunale danese a firmare un contratto collettivo con i dipendenti che la società intendeva inquadrare secondo le leggi irlandesi, pagandoli la metà di quanto prendevano piloti e assistenti di Cimber, una low cost locale. Da allora la compagnia continua a volare a Copenhagen ma per evitare ulteriori contenziosi ha spostato gli aerei in Lituania, a Kaunas, decidendo di fare ricorso alla Ue.

Due anni prima, per ragioni molto simili, la società di Dublino ha ricevuto dallo Stato francese una multa di 9 milioni di euro.

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