La magia dello Yucatán tra amache, dei e misteri

17 Marzo 07:00 2023 Stampa questo articolo

Un arcobaleno di colori, dalle mille sfumature e significati. Gli odori, di quelli che pizzicano. La polvere, messicana o meglio yucateca, che avvolge civiltà magiche e misteriose. Da Parigi si atterra a Cancún, e si fugge via dai mega resort della Riviera Maya. L’autostrada “taglia” la giungla e in due ore ci porta a Valladolid, la terza città dello Yucatán. Quello che una volta era un insediamento maya, oggi è un centro tranquillo, con case coloniali color pastello, piccoli negozi d’artigianato lungo la calle calzada de los frailes, tetti stondati, amache nel patio e aria di siesta.

Di giorno è facile raggiungere in auto i principali siti archeologici, la sera ci si rilassa sulle panchine bianche del parco Francisco Canton Rosado, con la Cattedrale, il palazzo municipale e il maestoso albergo coloniale Meson del Marques sullo sfondo. Alle 21, dal martedì alla domenica, uno spettacolo di luci anima anche la facciata del convento San Bernardino da Siena, costruito dai francescani nel 1552. Passa la notte, meno il jet lag, e il giorno dopo si parte verso nord, direzione Rio Lagartos. Per chi ama la natura e il birdwatching questa biosfera, casa di oltre 500 specie di animali, regala incontri ravvicinati con aironi cenerini, pellicani, colonie di fenicotteri e coccodrilli sorpresi a prendere il sole tra le mangrovie. Il tour in barca è una full immersion in 3D nel migliore dei documentari.

Lì vicino ci fermiamo anche a Las Coloradas, un’enorme laguna popolata dalle artemie, piccoli crostacei rossi che tingono il bacino di un rosa intenso. In sella alle bici ci si fa largo tra le saline, facendo attenzione a non toccare l’acqua per non rovinare il processo di estrazione del sale. Il paesaggio salmone tra i sentieri bianchi è da fiaba, oltre che un perfetto set per Instagram. Quando si parla di Yucatán impossibile non pensare a quella che è la cultura maya, magica e sconosciuta ancora oggi. Qui si trovano le rovine più importanti e meglio conservate, come il sito di EkBalam, letteralmente “giaguaro nero”, un’antica città risalente al 700-1000 d.C. immersa nella giungla, dove è possibile salire sulla Torre, una massiccia piramide alta 30 metri, cosa vietata negli altri luoghi archeologici. I gradini sono stretti e la pendenza notevole, ma la guida ci spiega come “scalarla”, ovvero un passo alla volta, di lato, così da non mostrare né il volto né le spalle agli dei. Al quinto livello c’è una porta rappresentata come una bocca enorme con tanto di fauci, l’antro che porta al Xibalba, l’oltretomba.

Tra i siti da non perdere Uxmal (che vuol dire “costruito tre volte”), con la spettacolare piramide dell’indovino, il quadrangolo delle monache che conta 74 stanze e i numerosi mosaici colorati dedicati a Chac, dio della pioggia, ma soprattutto quella che è una delle sette meraviglie del mondo moderno, Chichén Itzá. Pochi posti scuotono l’anima come questo, nonostante le bancarelle e la folla di turisti. L’incontro con El Castillo, la piramide maya simbolo del Messico, lascia senza fiato. Ci si trova di fronte a un impressionante  edificio con una ripida scalinata dove, due volte l’anno, in occasione degli equinozi, i raggi del sole liberano un sinuoso serpente che scivola via lungo i gradini. Nessuna pietra o finestra è messa qui a caso. Ogni cosa rimanda a regole di astronomia, matematica, al calendario maya, dove i numeri si ripetono, si sommano, si incastrano.

«Si racconta fosse un portale per viaggiare nel tempo», precisa la nostra guida Abel che da 27 anni racconta le magie di Chichen ai turisti. Imperdibili il tempio dei guerrieri, la corte dove si giocava alla pelota, l’osservatorio e il cenote sacro. Da fine aprile, inoltre, il sito aprirà al pubblico anche una vasta area mai vista finora che promette già numerose sorprese. Quando il sole picchia, invece, ci si ripara in uno dei molti cenotes, piscine naturali di acqua sacra ai maya che costellano la zona. Ce ne sono più di 4mila, aperti, semiaperti o nascosti in caverne sotterranee. Si narra siano stati creati dall’esplosione del meteorite che milioni di anni fa cancellò la vita sulla terra, ma regalò acqua in abbondanza e la pietra calica, chiara e durissima, simbolo dello Stato.

A Zuzil Tunich, ci si può tuffare a 20 metri sotto terra e ammirare stalattiti e stalagmiti; Suytun (isola di pietra) invece è un cenote semiaperto con un piccolo foro nella volta dove, da maggio ad agosto, passano i raggi del sole e illuminano il centro come un palcoscenico naturale, oppure ce ne sono altri meno frequentati ma altrettanto suggestivi come Sac Aua, gestito dagli abitanti del villaggio, dove si nuota in acque limpide con gli occhi all’insù verso le radici degli alberi secolari. Dal turchese al giallo, si arriva a Izamal, uno dei pueblos magicos del Messico. Lo riconosci dalle case color ocra, tutte, compresa chiesa, municipio e il bellissimo convento di Sant’Antonio da Padova, costruito sui resti di un tempio maya. La chiamano la città amarilla, dicono dipinta così per la visita di Giovanni Paolo II nel 1993.

L’intenso tour si chiude nella capitale dello Yucatán: Meridà, fondata dal conquistatore Francisco de Montejo il giovane nel 1542. I bei palazzi e le residenze sontuose sul Paseo de Montejo rimandano al tempo dei facoltosi proprietari terrieri, arricchitisi grazie alla vendita della fibra d’agave, l’oro verde. Oggi ci sono il turismo, con le crociere americane che sbarcano ogni martedì e giovedì, e le immancabili amache. Inutile andare di fretta.

DALLA MUDITA DI VALLADOLID

La cucina dello Yucatán è la più famose. I piatti vanno dalla sopa de lima alla cochinita pibil. Ma per una vera esperienza culinaria c’è la taqueria “La bendición de Dios”, conosciuta come “La Mudita”. La signora Marciala Silva Uuh non sente dalla nascita, ma cucina piatti prelibatissimi, prima al suo banco nel mercato di Valladolid, e ora con un piccolo locale in periferia. Da provare la torta con i lomitos, un panino con carne di maiale stufato.

NEI CAMPI DI AGAVI DEL VECCHIO MONDO

Terra magica e colorata lo Yucatán. Ricca di cultura e storie da raccontare. A 45 minuti di auto da Meridà si può visitare un luogo che permette un salto nel tempo: l’azienda Sotuta de Peón. Oggi questa hacienda è l’unica ancora attiva delle tante tenute costruite tra il 1500 e il 1800 ed è l’unica che ancora coltiva e trasforma l’henequén, una pianta simile all’agave da cui si ricava una fibra spessa e dura, che dalla città di Sisal nel Golfo del Messico salpava verso tutti i porti del mondo. Un mondo che oggi non esiste più, scomparso con l’invenzione del nylon. I visitatori sono trasportati a bordo di truck di legno alla scoperta dei campi dove le agavi crescono sulla terra rossa, assistono al processo di filatura, ammirano la sontuosa architettura della casa fatta di ampi saloni e mobili di legno scuro.

La storia è così importante e viva in questo Stato che nell’Holiday Inn di Meridà si può ammirare un lungo murales realizzato dall’artista Ariel Guzmán che racconta dalla creazione dell’uomo al declino delle civiltà secondo le credenze maya. «Raccontare origini e tradizioni è un modo per far conoscere la nostra meravigliosa terra – spiega Michelle Fridman, segretaria del Fomento Turístico de Yucatán – La scorsa estate abbiamo incontrato a Milano e Roma il trade. Vogliamo mantenere stabili relazioni con l’Italia, approfittando anche dei voli su Cancún e di quelli tra Roma e Meridà attraverso Città del Messico, con il volo Aeroméxico che da maggio avvicinerà ancora di più gli italiani allo Yucatán».

L'Autore

Serena Martucci
Serena Martucci

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